‘Io abusato da ragazzino da un prete ora aiuto chi ha paura e vergogna a denunciare’

Michele Reggio racconta l’incubo di cui è stato vittima alla fine degli anni ’60

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    Di Giulia Zampina

    Catanzaro fine anni ‘60. E’ un’altra città, una città in crescita in espansione. Una città che molti oggi rimpiangono. Come in ogni centro di provincia le parrocchie e gli oratori sono i punti di riferimento di un’intera società che cresce e si forma. Ma come in ogni città purtroppo il lupo cattivo ha le sembianze di chi non ti aspetti. E così Michele, allora undicenne, quel lupo lo incontra proprio in una parrocchia.

    Il racconto degli abusi Catanzaro 2017. Michele Reggio, oggi impiegato, ha deciso che è il momento di parlare. Sono passati moltissimi anni è vero, ma la rabbia per quegli abusi subiti non si è placata. Quei ricordi sono datati ma non si cancellano.

    “E’ successo tutto quando avevo tra i 9 e gli 11 anni. All’inizio non capivo perché dopo il catechismo tutti i bambini andavano a casa a giocare e io, con una scusa o con un’altra venivo trattenuto dal prete di quella parrocchia. Io mi ero fidato di lui, e continuavo a farlo anche quando mi rendevo conto che le cose che mi costringeva a subire non erano cose buone. Ogni pomeriggio tornavo a casa combattuto tra il desiderio di raccontare tutto a mamma e papà e la vergogna, la paura che non mi avrebbero creduto. I giorni passavano. Non potevo rifiutarmi di frequentare il catechismo perché a quei tempi i genitori non si potevano contraddire. Ma mi prese una strana mania. Quella di lavarmi in continuazione e con forza perché mi sentivo sporco. A quel tempo non sapevo per quale ragione esattamente, ma mi sentivo sporco. Ho pensato di essere sbagliato. Un giorno, all’improvviso, arrivammo in chiesa e quel prete non c’era più. Allontanato ci dissero, senza troppe spiegazioni, che per altro non potevamo chiedere. E di lui non si seppe più niente. Ma la ferita che ha lasciato nella mia vita è profonda”

    Attivista nella rete antibusi L’unico modo che Michele ha ora per trovare pace e liberarsi di quei mostri che hanno avvelenato una vita intera, condizionandola nelle scelte, avvelenandola nella quotidianità è quello di trasformare la sua rabbia. E così Michele diventa un attivista della Rete nazionale antiabusi, e da lì, dalla volontà di aiutare tante persone che ancora non hanno trovato il coraggio di denunciare, trae anche la forza per superare la disperazione.

    Il gruppo nazionale fatto di medici, avvocati, psicologi. E’ stato in quel momento che quella “mania di pulizia” ha trovato soddisfazione. “Ho sfogato la mia rabbia – dice Michele – e soprattutto l’ho indirizzata verso qualcosa di positivo, l’aiuto verso gli altri. “Io ero nato in una famiglia cattolica. Pensavo che la fede mi avrebbe sostenuto. Oggi posso dire che è andata scemando ma ho trovato la forza di far diventare la mia storia un aiuto per gli altri”.

    La pergamena restituita Michele Reggio ha recentemente ricevuto una pergamena dal Santo Padre con tanto di benedizione per la sua attività e per quella della Rete, che però ha rimandato indietro e non per una mancanza di rispetto nell’istituzione chiesa in generale o nel Papa ma perché Michele è fermamente convinto che la battaglia contro i preti pedofili, una battaglia che ha trovato un Pontefice impegnato in prima fila, debba partire dalle parrocchie, dal crollo di quei muri di omertà e paura che le vittime tendono a creare intorno a loro perché non trovano nessuno disposto ad aiutarli.. Michele continuerà la sua battaglia. Ora che la voce ha dato forma alle parole che per oltre 40 anni sono rimaste dentro Michele non ha nessuna intenzione di tacere. Per lui, che è uomo oggi, per quel bambino che è stato e per quel ragazzo che non è riuscito ad essere e per tutti i bambini che devono essere e rimanere bambini.

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