5 aprile 2018 - 12:22

Per la «nazionale» del Papa
ora c’è uno sponsor (di)vino

L’azienda vinicola di tre fratelli lodigiani produce Poderi di San Pietro, l’unica
Doc di Milano. In squadra si sono guadagnati un posto anche due sacerdoti

di Mario Gerevini

shadow

Non ci hanno pensato troppo in Vaticano. L’azienda e il marchio calzavano a pennello, meglio di così era difficile trovare sul mercato. E allora il contratto è stato firmato: per la prima volta nella sua storia la «nazionale» di calcio del Vaticano ha uno sponsor. È un’azienda vinicola di proprietà di tre fratelli che produce l’unica Doc di Milano, si chiama Poderi di San Pietro. È evidente che non ci poteva essere partita con altri pretendenti, fossero anche Nike o Adidas che magari ben più di un pensierino l’avrebbero fatto se avessero saputo che i giallo-bianchi della squadra del Papa erano pronti al grande passo. La griglia etica stabilita dai «monsignori» è però rigidissima.

No alla società di scommesse

Ne sa qualcosa una grande azienda di scommesse, cortesemente respinta con perdite qualche tempo fa quando azzardò temerariamente la proposta di una cospicua sponsorizzazione. Dunque ora per tre anni i fratelli Giuliano, Antonio e Giovanni Toninelli, assistiti dall’avvocato milanese Guido Grignani che ha ideato l’operazione, piazzeranno il marchio della loro Poderi di San Pietro sul materiale sportivo della rappresentativa calcistica vaticana. Non si tratta, ovviamente, di calciatori professionisti. E nemmeno di una vera nazionale perché i giocatori sono per lo più dipendenti e non cittadini dello Stato Pontificio. Si sono guadagnati il posto in squadra anche due sacerdoti, uno della Curia e l’altro della Fabbrica di San Pietro, l’ente che gestisce la basilica. Tra i top player del calcio vaticano ci fu anche l’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, attuale nunzio apostolico nelle Filippine. Guardie Svizzere, Musei Vaticani, la radio, le poste, la Biblioteca apostolica ecc. hanno una loro squadra; nove in tutto e da 45 anni si contendono lo scudetto della Santa Sede. Ma non esistono ingaggi. Girano più soldi nelle briscole dei bar di Via della Conciliazione che nel pallone sotto San Pietro. È tutto rigorosamente amatoriale. Al punto che si decide ogni anno se il campionato sarà a 11 o a 9 in base all’età media. La crème di questo torneo, ovvero la «nazionale», compresi due «piedi fini» della Segreteria di Stato, ha giocato in stadi blasonati come quello del Borussia Moenchengladbach contro la squadra tedesca. Uno degli organizzatori fu monsignor Guillermo Karcher, argentino, cerimoniere vaticano e assai vicino al Papa. La passione coinvolge anche le alte sfere. E dunque non c’è da stupirsi che certi grandi gruppi abbiamo sognato di sponsorizzare la «squadra del Papa». Non certo per i risultati: con il Borussia per esempio è finita 8 a 1 per i tedeschi. Ed erano le vecchie glorie. Si fa per divertirsi e per beneficenza. Del resto la Città del Vaticano è uno degli otto Stati sovrani (con Monaco, Tuvalu, Kiribati, Micronesia, Nauru, Isole Marshall, Palau) che non ha una nazionale di calcio riconosciuta dalla Fifa. Adesso c’è lo sponsor ma non lo stadio. In Vaticano non ci sta. Così si gioca, da sempre, nel campo di un oratorio (si chiama San Pietro anche quello) in territorio italiano.

Il marchio del vino milanese, comprese le bottiglie da regalare agli avversari, seguirà la squadra. Ma il contratto non obbliga i giocatori a dissetarsi con il prodotto dello sponsor durante le partite. La Poderi San Pietro ha già messo in cantiere due rossi e uno spumante che avranno sull’etichetta i colori e i simboli della bandiera vaticana. Giuliano Toninelli, 54 anni, lodigiano, guida con i fratelli una serie di aziende agricole che gestiscono 1.000 ettari di terra, 30mila suini, 500 vacche da latte, due agriturismi e impianti a biogas. L’uva è quella delle colline di San Colombano al Lambro, comune della città metropolitana di Milano. L’uva e il calcio uniti nel nome di San Pietro

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT