26 dicembre 2017 - 09:06

Le mani della mafia sull’Ippodromo
Gare e intimidazioni a Palermo

Le cosche si infiltravano nella struttura sportiva per condizionare le corse con la loro forza intimidatoria. Un blitz ordinato dalla procura di Palermo, sulla base di indagini dei carabinieri, ha consentito di svelare i legami. L’intervento della prefettura

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L’ultima anomalia si era verificata prima di una corsa tris lo scorso febbraio. I cavalli ai nastri di partenza ma i tentativi di allineamento erano andati tutti a vuoto. Così il giudice di gara aveva annullato la competizione all’ippodromo «La Favorita» e sanzionato alcuni fantini. Il ministero delle Politiche agricole avevano voluto vederci chiaro e avevano disposto la chiusura della struttura per tre mesi. Poi ai primi di dicembre era intervenuta, la procura della repubblica palermitana che, sulla base delle indagini dei carabinieri, ha ipotizzato come nell’ippodromo ci sia stato «un sistema di condizionamenti e di infiltrazioni mafiose» e, anche per questo motivo, era scattato il blitz «Talea» che ha sgominato i vertici del clan Resuttana-San Lorenzo. Inoltre, il prefetto di Palermo Antonella De Miro ha deciso di firmare un’interdittiva per la società che gestisce la struttura sportiva.

Le indagini

Secondo le indagini, uno dei frequentatori più assidui delle corse era il presunto boss di Resuttana, Giovanni Niosi, che avrebbe gestito anche dei cavalli e avrebbe avuto contatti con diversi driver. Nel 2014 era stato un collaboratore di giustizia, Vito Galatolo, a svelare alcuni retroscena: «Faceva che lui porta i soldi... allora, tutti quando facevano le tris... allora, lui era quello che dava i soldi ai guidatori... “te qua sti milioni” per dire... all’ora se c’era un mi... “te qua stu milione” ora arriva due milioni a quello, un milione a quello, 500 a quello, lui era quello che giostrava la corsa...Li dava per corrompere i fantini. Dovevo vincere io, allora gli altri si stavano dietro... il secondo doveva arrivare... questo e il terzo doveva arrivare quello... e cosi come partivano arrivavano. E poi cosa nostra investiva tutti i soldi nelle sale scommesse». Anche un altro collaboratore di giustizia, Giovanni Vitale, aveva raccontato delle infiltrazioni mafiose nelle gare all’Ippodromo: «... se dovevo fermare un cavallo ci andavo e già mi sbrigavo, e poi li lasciavo là e me ne andavo... a loro invece gli piaceva stare là. Noi quando fermavano i cavalli, anche quando c’ero io, non è che rimanevo là a vedermi le corse... facevo questo e subito me ne andavo. Meno mi facevo vedere meglio era...».

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