Milano, 3 ottobre 2017 - 22:56

Onde gravitazionali, la sfida di Kip: «Perché non provarci?» Poi il Nobel
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Il grande fisico spiega la scoperta per la quale è stato assegnato il premio. L’idea di Einstein, i dubbi, le prove. Storia di una conquista che parla anche italiano. La caccia alle prove e il ruolo del nostro Paese: «E’ stata una partita a poker»

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Il premio Nobel per la fisica è stato assegnato a Rainer Weiss, Barry Barish e Kip Thorne per la rilevazione delle onde gravitazionali annunciata all’inizio dell’anno scorso. È momento emozionante per la fisica fondamentale, che corona un percorso tutt’altro che lineare durato un secolo.

Le intuizioni di un genio

Kip Thorne
Kip Thorne

La storia si apre nel 1915, all’inizio della Grande Guerra, quando Albert Einstein, già riconosciuto fra i massimi fisici del tempo, pubblica le equazioni di una stranissima teoria che prevede che lo spazio in cui siamo immersi si possa deformare come gomma dura. Lui stesso nota subito che potrebbe anche vibrare come una corda di violino o un bastone di ferro, e quindi trasmettere onde. Ma presto cambia idea e scrive un articolo per dire che queste onde non esistono. Poi cambia idea di nuovo, e scrive un altro articolo per dire che sì, dovrebbero esistere.

I primi esperimenti

Nei decenni successivi i fisici sono confusi, e discutono sulla realtà o meno delle onde gravitazionali. Feynman parteggia per l’idea che siano reali. Altri dissentono: se lo spazio vibra, noi vibriamo con lui e non ce ne accorgiamo... La faccenda si chiarisce solo negli anni 60, quarant’anni dopo i dubbi di Einstein: un teorico austro-inglese, Hermann Bondi, mostra che con le onde gravitazionali si può in linea di principio fare bollire un pentolino d’acqua, e finalmente tutti si convincono: la teoria prevede che lo spazio possa portare vibrazioni simili alle onde elettromagnetiche. Increspature sullo spazio come su un lago mosso dal vento. Chiarito questo, ci si chiede se possiamo vederle davvero. Ce ne sono veramente, che corrono nello spazio interstellare? Un fisico americano, Joe Weber, costruisce un enorme cilindro di metallo, con l’idea che le onde di spazio possano metterlo in vibrazione, e si convince di averle viste: ma non convince nessun altro e finisce per essere sempre più isolato e scorbutico. Ma oramai la ricerca è partita.

Onde gravitazionali: cosa sono e come sono state scoperte
Einstein e le onde gravitazionali

La ricerca italiana

L’Italia è all’avanguardia. Edoardo Amaldi, padre nobile della grande scuola di fisica romana intuisce l’importanza e la fattibilità dell’impresa e promuove la linea di ricerca italiana per rilevare le sfuggenti onde. Si costruiscono in Italia prototipi di antenne. A Frascati, più tardi a Legnaro, presso Padova. Si continua con l’idea di Weber delle grandi barre di metallo, ma si cercano anche altre idee. Ricordo da ragazzo, giovane studentello di fisica, Massimo Cerdonio e Stefano Vitale che mi mostravano nel dipartimento di fisica di Trento un bussolotto oscillante con dentro un anellino superconduttore: prototipo di un’altra idea di antenna. Cerdonio costruirà poi l’antenna di Legnaro, Vitale guida oggi il più spettacolare progetto internazionale di antenna gravitazionale previsto per il futuro: Lisa, un’antenna fatta di satelliti in orbita solare...

La gara per il risultato

Presto si capisce che la tecnologia più promettente per vedere le onde sono gli interferometri: due laser a 90 gradi che confrontano le lunghezze di due bracci perpendicolari. Se passa un’onda, un braccio si allunga, l’altro si accorcia, e si dovrebbe vedere. Partono uno dopo l’altro in diversi paesi progetti per costruire prototipi di simili antenne, ma la sensibilità che serve è spettacolare, molto al di là della portata della tecnologia disponibile. Bisogna misurare variazioni di lunghezza molto più piccole di un atomo, su distanze di chilometri.

La sfida di un relativista

Nei primi anni novanta sono giovane professore in America, e Richard Isaacson viene a Pittsburgh, dove lavoro. Richard è il responsabile per la fisica della gravitazione della National Science Foundation, l’agenzia americana che assegna i fondi per la ricerca scientifica. Sta decidendo se investire fondi per le onde gravitazionali. Il progetto proposto è arrivare a rivelare le onde in cinque anni, massimo dieci. Ceniamo in due in un ristorantino indiano. Io sono perplesso, come tanti, le onde sono deboli, e prima che la tecnologia arrivi a tanto, passerà tempo. Gli chiedo cosa gli dia la convinzione che ci si possa arrivare in tempi ragionevoli. La risposta è netta: la fiducia in Kip Thorne. Kip è uno dei migliori relativisti al mondo. Lavora a Caltech. È lui il grande esperto di buchi neri, stelle di neutroni, e altre magie dell’universo dove dovrebbero succedere catastrofi così violente da scuotere lo spazio abbastanza per fare arrivare increspature di spazio fino a noi.

La vittoria vent’anni dopo

Qualche anno dopo incontro Kip a una conferenza in India. Siamo seduti accanto in un bus che ritorna nella notte dalla cena della conferenza. Gli chiedo cosa gli abbia dato la sicurezza per convincere Isaacson della fattibilità della misura in tempi brevi. Kip aspetta a lungo prima di rispondere, guardandomi negli occhi. La notte indiana scorre accanto a noi. Poi: «Secondo te non dobbiamo provarci?» E mi rendo conto di quanto alta sia la misura di una grande mano di poker. Ho ricordato a Kip questa conversazione l’anno scorso, dopo la rilevazione. La sua risposta è stata subito: non è merito mio, ho avuto fiducia in Rainer Weiss e Barry Barish, sperimentatori spettacolari. Sono passati venticinque anni dalla mia cena con Isaacson. Venti dalla conversazione con Kip. La mano di poker è stata durissima. Ne sono state coinvolte le vite di decine e decine di colleghi. Abbiamo vinto.

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