Milano, 21 ottobre 2017 - 20:55

Robert Carmona, calciatore da record: «In campo da 48 anni, ho sfidato Chinaglia e Maradona»

Il «numero 10» uruguaiano ha cominciato a giocare all’età di 7 anni e non ha mai smesso. Certificazione riconosciuta dal Guinness. «Ho battuto Marco Ballotta e sir Stanley Matthews e non ho intenzione di smettere». Ora gioca in Piemonte

Robert Carmona (foto Piero Cruciatti) Robert Carmona (foto Piero Cruciatti)
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Sta tutto in quest’ascetica ricetta di vita il segreto per entrare nel «Guinness dei primati», voce «calciatore in attività più longevo: «Niente cibi grassi, niente zucchero, niente bibite. Vietate le sigarette, la sera a letto presto. Poi l’allenamento: non massacrante, ma almeno un’ora giornaliera di corsa e abbondanti esercizi di ginnastica». Il recordman è un uruguaiano di 55 anni, Robert Carmona, tre figli, sposato con una ginecologa. Ha giocato in almeno 25 squadre e a elencarle tutte — Pan de Azucar, Progreso, Las Piedras, Colòn, Alto Perù, Imperiales... — viene fuori una filastrocca che mescola pallone, potreros (i campetti da strada sul Rio del Plata e dintorni) e certi posti tra Montevideo, Buenos Aires, New York, Miami e Ibiza in cui Robert ha giocato. L’ultimo approdo è in Piemonte, a Tortona, all’Audax Orione, squadretta di Terza categoria che veleggia al penultimo posto del suo girone. L’ingaggio, chiamiamolo così, è stato favorito da Alfredo Regueira, agente Fifa che da dodici anni vive da queste parti, amico fraterno di Davide Grillo, ex carabiniere, imprenditore nel ramo sicurezza e presidente dell’Audax: Carmona giocherà nell’Orione per tutto l’inverno, lo stesso periodo nel quale Leonardo, il figlio diciassettenne di Grillo e punta emergente, disputerà uno stage nella «serie B» uruguaiana.

«Un ortodosso numero 10»

Non ci sono vittorie memorabili nella storia di Carmona, «un ortodosso numero 10», incrociata però con i dribbling di Ghiggia — «l’idolo di tutti noi uruguaiani: lo incontravo e gli chiedevo sempre del gol vincente contro il Brasile al Maracanazo» — i possenti colpi di testa di Chinaglia, i palleggi in allenamento di Maradona, tutti visti da vicino. Decisivo però è stato quel confronto «indiretto» con la scheda anagrafica di Marco Ballotta. Non un portiere, ma un «highlander» del calcio italiano in «Serie A» sino a 44 anni, tanto da finire nell’edizione 2008 del «Guinness dei primati». «Sino ad allora era lui il calciatore in attività più longevo» puntualizza Robert prima di cambiarsi negli spogliatoi dell’Audax per un allenamento all’imbrunire. Non parliamo poi di sir Stanley Matthews, inglese tra gli inventori del moderno calcio, leggenda del pallone, pure lui giocatore-giramondo, pure lui recordman di longevità (si ritirò che era cinquantenne). E pure lui «cancellato» — ovviamente riguardo il solo Guinness — dalla carriera prolungata del numero 10 uruguagio.
Senonché quel volume-raccolta di primati con la pagina dedicata al portierone di Modena, Inter e Lazio finì casualmente, in una libreria di Montevideo, tra le mani di Agustina, la figlia di Carmona. Appuntamento con il destino. «Papà, se c’è quello di Ballotta non vedo perché non ci possa essere anche il tuo nome su questo libro» esclamò la ragazza. Robert annuì, facendo due conti. «Avevo cominciato a giocare a sette anni con i “pulcini” del Peñarol — ricorda — senza mai smettere». Una vita calcistica tra la seconda e la terza serie uruguaiane. La svolta nel 1987, a 25 anni, grazie a un’offerta dagli Stati Uniti che accettò restando per dodici anni nelle squadre semiprofessionistiche della «North American Soccer League» dove furoreggiavano ancora Franz Beckenbauer e Giorgio Chinaglia.

L’incontro con Chinaglia e Maradona

Il «numero 10» ricorda bene l’incontro con l’ex bomber laziale «durante una sfida tra “all star” di New York: lui un campione acclamato, massiccio, alto. Io, non certo celebre — racconta divertito — volevo assolutamente la sua maglia. Me la diede a fine partita dicendomi: «Sei mingherlino, ti starà larga». Poi Maradona, «il più grande di tutti», incrociato nel 1983 «quando giocavo a Buenos Aires, nel Tristàn Suarez». Dieguito veniva qui ad allenarsi: «Un giorno giocammo assieme. Emozionatissimo, volevo strafare: tentai una rabona per impressionarlo, ma inciampai e caddi. Lui rise e mi disse: calmati, uruguaiano. Poi mi soprannominò “rabona”». Dopo gli Usa Robert non smette di giocare, mescolando passione e l’impegno con la sua «onlus» — «Un calcio per gli altri» — con cui aiuta piccoli calciatori che alle spalle hanno famiglie difficili. «Ho impiegato quattro anni per trovare tutta la documentazione chiesta dal Guinness: altri sono sicuramente più vecchi di me, ma io posso dimostrare di avere giocato ininterrottamente da 48 anni. E non ho certo intenzione di smettere».

(Ma il calcio oggi? Robert lo vede così:«Le gambe sono rasate, i pantaloni sono arrotolati, i ragazzi sono più preoccupati per la musica nello spogliatoio o a invidiare gli scarpini dei loro rivali, colorati e scintillanti. Li ho veduti domandare a metà partita dove li avessero acquistati e quando il modello fosse uscito. Trovo difficile credere che riescano a concentrarsi sulle partite perché sono tutto il giorno con il cellulare. Gli spogliatoi sembrano discoteche. Gli chiedo di spegnere la musica.... Ma non lo fanno, allora vado a cambiarmi in un altro posto. Mi sono cambiato perfino all’aperto... Tutto cambia, ma preferisco le vecchie abitudini».)

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