Milano, 26 ottobre 2017 - 15:53

Almaviva, 43 neomamme da Roma
a Cosenza: accettate o dimettetevi

Le dipendenti dell’azienda di call center dovranno trasferirsi in Calabria, altrimenti perderanno il lavoro. Cgil: assurdo punire chi fa figli. Salvi invece i 65 lavoratori di Milano

(Ansa) (Ansa)
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«Almaviva Contact ritirerà i trasferimenti». Lo conferma il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda alla fine del tavolo al Mise sui 65 lavoratori a rischio trasferimento da Milano a Rende (Cosenza). «Ci siamo visti anche con l’Eni - dice Calenda - che si è detta disponibile a dare lavoro al call center di Almaviva e dunque la situazione dovrebbe essere risolta». Il caso era scoppiato dopo che l’azienda di call center aveva perso una commessa con Eni e quindi aveva annunciato il trasferimento in Calabria di 65 suoi dipendenti. I sindacati avevano attaccato il gruppo parlando di «licenziamenti mascherati». Perciò Calenda giovedì pomeriggio ha convocato azienda ed Eni al Mise per cercare una soluzione. E Almaviva Contact conferma: «Alla luce del rinnovato impegno della Società Eni a conferire adeguate attività da svolgere sul sito produttivo di Milano, confermiamo di aver accolto l’invito del Governo a ritirare il trasferimento dei lavoratori».

Il trasferimento delle neomamme

Rischiano invece il trasferimento da Roma a Rende (Cosenza) 43 neomamme dipendenti di Almaviva Contact a Roma che alla fine del periodo di maternità obbligatoria dovranno scegliere se continuare a lavorare nel call center e quindi traslocare in Calabria, a centinaia di chilometri da casa, oppure lasciare il lavoro. L’azienda ha chiuso la sua sede nella Capitale lo scorso dicembre (1.666 i lavoratori licenziati, escluse le neomamme) e ora alle lavoratrici che terminano la maternità obbligatoria propone di spostarsi nella sede di Rende.
«Ma con un bambino piccolissimo e uno stipendio di neanche 800 euro al mese è impossibile, non abbiamo molta scelta», dice una di loro. «Ci dicono che l’Italia ha una natalità bassissima, ma poi chi mette al mondo dei figli viene trattato in questo modo: assurdo punire delle lavoratrici solo perché hanno fatto un figlio, se come Paese non riusciamo ad indignarci per queste cose non abbiamo davvero più prospettive», sottolinea Michele Azzola, segretario Cgil di Roma e Lazio che giovedì mattina a Roma ha raccontato la storia delle mamme di Almaviva.

L’accusa: scelta obbligata

Il sindacato spiega che le lavoratrici si trovano davanti ad una scelta quasi obbligata: «O accettano il trasferimento, con tutte le difficoltà che comporta, o si dimettono spontaneamente con la promessa di ricevere 500 euro al mese per un anno come contributo, oppure in caso di no al trasferimento perderanno il lavoro». Ma, continua Azzola, «un’azienda che vive di commesse pubbliche non può comportarsi così, questa è una chiara provocazione dell’azienda, al pari di quella che sta portando avanti con i 65 trasferimenti da Milano a Rende».

L’azienda: populismo

Almaviva Contact replica però che «il trasferimento è una soluzione fondata sull’esigenza di salvaguardare la posizione di lavoro» e che «la totale chiusura del call center romano della società è conseguenza dell’accordo tra le parti del dicembre 2016 che ha ratificato la continuità e il mantenimento del perimetro occupazionale per il centro produttivo di Napoli e la cessazione delle attività per Roma». Per quanto riguarda le 43 lavoratrici, quindi, «Almaviva Contact ha correttamente seguito gli adempimenti di legge attraverso la tutela delle dipendenti in maternità nella procedura di licenziamenti collettivi». L’azienda conclude attaccando «settori della Cgil» rei di aver «assecondato il progressivo disfacimento del settore italiano dei call center con dosi costanti di populismo sindacale». Intanto 15 neomamme lavoratrici hanno già deciso: hanno rinunciato al posto di lavoro.

Intervento della Regione Lazio

E la Regione Lazio interviene con l’assessora al Lavoro e Pari opportunità Lucia Valente che fa sapere di aver «aperto un’interlocuzione con il ministero del Lavoro e l’Anpal per chiedere che anche alle mamme sia garantito lo stesso percorso di politiche attive a cui stanno partecipando le colleghe e i colleghi licenziati lo scorso anno». Perché, «come assessorato al lavoro riteniamo necessario tutelare queste lavoratrici e come Regione Lazio siamo loro vicine».

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