25 febbraio 2018 - 10:37

L’avvocato cattolico che difende il baby terrorista: «Il parroco è d’accordo»

Il giovane kosovaro voleva farsi saltare in piazza San Marco: ora piang e chiede della madre

di Andrea Priante

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È il soldato di Allah con la faccia da ragazzino, il più invasato di tutti. Quello che a 17 anni voleva piazzare un ordigno sul ponte di Rialto e che il mese scorso è stato condannato a 4 anni e 8 mesi di carcere. Lo stesso — si scopre ora — che sognava di fare il kamikaze, lasciandosi esplodere in piazza San Marco. «Lo faccio per conto mio» assicurava, perché solo così si guadagna il paradiso: annientando gli infedeli.

Il ruolo dell’avvocato

Ma è proprio sul suo recupero che ora scommettono gli educatori e gli psicologi del carcere per i minorenni in cui è rinchiuso (prima a Treviso, ora a Cagliari) dal marzo dello scorso anno quando, con un blitz di carabinieri e Digos, fu arrestato assieme a tre complici. Il ragazzino — dicono — sta cambiando. Merito anche del suo avvocato, Luigi Quintarelli, un cattolico praticante che, per quegli strani intrecci della vita, si è ritrovato a difendere un fondamentalista islamico. «Prima di prendere in mano il suo caso — confida il legale — ho chiesto al parroco di confessarmi. Gli ho raccontato dei miei dubbi, gli ho chiesto consiglio. E lui mi ha esortato ad andare avanti: “Stai sereno, essere cristiani significa anche aiutare chi voleva farci del male”, mi ha detto».

Le lacrime per la madre

C’è tutto questo, nella storia del baby-jihadista kosovaro che lavorava come cameriere in un ristorante del centro, al servizio di quegli stessi turisti occidentali che avrebbe voluto uccidere. «Sembra stia recuperando la sua adolescenza — si legge in una relazione del Dipartimento per la giustizia minorile — e, sebbene la religiosità governi gran parte della sua vita, comincia ad avere reazioni più adeguante alla sua età». Certo, resta tanto lavoro da fare. Prega di continuo e rifiuta di partecipare «a momenti di convivialità musicale (la musica è peccato, ndr ) o ad altre forme di divertimento occidentali». Però ha ripreso in mano i libri e a giugno affronterà l’ esame di terza media. Fa anche dei lavoretti all’ interno della struttura e ciò che guadagna lo invia ai genitori in Kosovo perché «è preoccupato del fatto che non versino in buone condizioni economiche». Nonostante scimmiottasse i tagliagole dell’ Isis, resta pur sempre un ragazzino che chiede della mamma. «Gli manca molto - prosegue la relazione - e piange spesso, espressione di un marcato stato di solitudine affettiva (che) si teme possa degenerare in uno stato depressivo».

«Suggestionato dai connazionali adulti»

Cresciuto a Galluboc, nei Balcani, era fuggito in Italia nel 2015 in seguito a un litigio con il padre, un maestro in pensione. Dopo aver discusso anche con lo zio che lo ospitava, all’ inizio del 2017 si era trasferito a San Marco, nell’ appartamento di Arjan Babaj, considerato il leader spirituale della cellula jihadista veneziana. È in quella casa che gli inquirenti hanno intercettato le conversazioni che lo incastrano. Il «capo» istruiva l’ allievo sull’ opportunità di colpire i miscredenti e di combattere in Siria. I complici lo esortavano a sviluppare i muscoli: «Dai! Alzati a fare esercizi! Alzati a esercitarti per la guerra!». In una informativa si ipotizza che il minore fosse «suggestionato dai connazionali più adulti» al punto di aver «già manifestato in molte occasioni la propensione a favore dell’ Isis». I suoi idoli erano molto diversi da quelli dei coetanei: «Solo Lavdrim parla con la bocca di Allah», diceva. E Muhaxheri Lavdrim, noto come «Il macellaio dei Balcani», è un super-ricercato che si lascia fotografare mentre decapita i minorenni «traditori».

«Puntiamo a San Marco»

Le intercettazioni che lo riguardano sono agghiaccianti. Il Papa? «Forse facevano meglio a ucciderlo». Gli attentati in Turchia? «Mi sono sentito molto soddisfatto, adesso dobbiamo dare a San Marco». Gli infedeli? «Che Allah li uccida, li odio con tutta l’ anima». Per l’accusa, dimostra «una orgogliosa vocazione al jihad e al martirio». La notte del 19 marzo chiese ai compagni «se si guadagna il paradiso facendo shahid (il kamikaze, ndr ) e si fa saltare in aria in piazza San Marco». Era fiducioso: «Noi qua in 3-4 giorni facciamo uno Stato Islamico». Babaj gli disse che per colpire serviva l’ autorizzazione dell’ emiro Al-Baghdadi ma lui aveva fretta: «Lo faccio per conto mio». E nei giorni successivi: «Ho solo una vita, più che uccidermi cosa mi potrebbe fare....», «Al-Dawla (l’ Isis, ndr ), la vittoria è sicura». Spregiudicato perfino quando lo portarono in questura per arrestarlo. Agli amici disse: «Lo sapevo che mi avrebbero preso (...) Almeno muoio con la coscienza a posto, vado in paradiso e non mi importa di nessuno (...) è un evento voluto da Allah per mettermi alla prova, e questo arresto ci renderà più forti».

Ora vuole andare in una comunità gestita da un sacerdote

Interrogato nel maggio scorso, ha negato tutto: «L’ attentato uno lo fa perché è diventato scemo (...) Noi parlavamo di religione in modo pulito, non c’ entro nulla con l’ Isis». Sul Papa: «A me non interessa se vive o muore, io ho la mia fede e lui la sua». Ammette solo di non accettare gli omosessuali però «mi basta stare lontano da loro, per la mia religione sono grandi peccatori ma non meritano di essere uccisi». La scorsa settimana ha chiesto di essere nuovamente sentito dai magistrati: «Non ci sono prove, le nostre parole sono state mal interpretate. E poi, non è successo niente». Merito dell’ Antiterrorismo, verrebbe da dire. Adesso implora di poter lasciare il carcere per entrare in una comunità protetta gestita da un sacerdote che si è dichiarato disposto ad accoglierlo. Ma il permesso è stato negato: per i giudici è ancora pericoloso.

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