31 gennaio 2018 - 00:01

Pedofilia, il Papa manda un suo inviato in Cile per il caso Barros

Si tratta dell’arcivescovo Charles J. Scicluna che a Santiago ascolterà «coloro che hanno espresso la volontà di sottoporre elementi in loro possesso»

shadow

CITTÀ DEL VATICANO Lo aveva detto appena una settimana fa, di ritorno dal viaggio in Cile e Perù: «Non ci sono evidenze che Barros abbia coperto degli abusi. Però sono aperto a riceverle». Ed ora la mossa di Francesco segna una svolta nella vicenda del vescovo cileno Juan Barros, accusato da alcune vittime di essere stato complice del suo antico maestro, il prete pedofilo Fernando Karadima. Il Papa, «a seguito di alcune informazioni recentemente pervenute», ha deciso di inviare a Santiago del Cile monsignor Charles Scicluna, l’uomo di punta del Vaticano nelle indagini contro i responsabili di abusi, «per ascoltare coloro che hanno espresso la volontà di sottoporre elementi in loro possesso». 

Giro di vite

Francesco si affida così alla persona più autorevole in materia. Fu proprio Scicluna, arcivescovo di Malta e presidente del Collegio per l’esame dei ricorsi nell’ex Sant’Uffizio, a gestire per volontà di Benedetto XVI l’indagine sul fondatore pedofilo dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel, e perseguire come «pubblico ministero» della Congregazione per la Dottrina della Fede i responsabili di abusi: il «giro di vite» voluto da Ratzinger ha portato a più di ottocento sacerdoti spretati in dieci anni.

Prove ed evidenze

Le polemiche sul vescovo discepolo di Karadima avevano segnato il viaggio di Francesco in Cile, dove gli scandali hanno portato la Chiesa al livello più basso di popolarità. Il Papa, rispondendo ai cronisti locali, aveva difeso Barros: «Non c’è l’ombra di una prova, sono calunnie». Una frase che ha scatenato polemiche tra le vittime ed i fedeli della diocesi ed è stata criticata dallo stesso cardinale Sean O’Malley, presidente della commissione per la tutela dei minori: «Le parole che trasmettono il messaggio “se non riesci a dimostrare, non sarai creduto”, abbandonano i sopravvissuti all’esilio e al discredito». Di ritorno dal Perù, parlando ai giornalisti in aereo, Francesco ha ringraziato O’Malley («la sua dichiarazione è stata molto giusta, ha detto il dolore delle vittime e che ho sempre usato la tolleranza zero») e chiesto «scusa» agli abusati: «Il Papa che dice in faccia “portatemi una prova” è uno schiaffo, mi accorgo che la mia espressione non è stata felice, li ho feriti e mi fa dolore». Così Bergoglio ha chiarito: «La parola “prova” ha creato un po’ di confusione. Parlerei di “evidenza”. So che molta gente abusata non può portare una prova o ne ha vergogna e soffre in silenzio. Ma se condannassi senza evidenza, senza certezza morale, commetterei un delitto di cattivo giudizio».

L’indagine

Lo stesso Francesco, del resto, aveva spiegato di aver respinto per due volte le dimissioni di Barros dopo avergli parlato a lungo, e di essere «convinto che sia innocente». Nella diocesi di Osorno, in Cile, è nato un movimento che chiede la destituzione del vescovo. Barros,  già segretario di Karadima, era stato accusato da una vittima di avere assistito a un abuso. La testimonianza di una vittima non è una evidenza? «Lo è sempre», aveva risposto Francesco. «Ma nel caso di Barros non ci sono evidenze che abbia coperto abusi. Se non arrivano, rimarrà lì. Io non ho sentito nessuna vittima di Barros, non si sono presentate. Se una persona mi dà evidenze, ho il cuore aperto». Ed ora Scicluna è già in partenza, inviato da Francesco per parlare alle vittime e verificare le «informazioni recentemente pervenute». In una nota, i vescovi cileni parlano di «atteggiamento di vero ascolto e vicinanza alla realtà e alle sfide della società cilena e della Chiesa». Juan Barros si è sempre dichiarato innocente e, per parte sua, commenta: «Il vescovo accetta con fede e gioia tutto ciò che è stato disposto dal Papa, chiedendo a Dio di far risplendere la verità».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT