10 marzo 2018 - 11:30

‘Ndrangheta, arrestato Antonio Pesce Il latitante è stato fermato a Rosarno

La polizia lo ha scovato in un appartamento al centro di Rosarno, nel Reggino, «coperto» da fiancheggiatori che monitoravano ogni movimento sospetto. Il boss, 26 anni, era considerato il reggente dell’omonima ‘ndrina che aveva ramificazioni a Milano

di Carlo Macrì

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REGGIO CALABRIA - Se ne stava rintanato in un appartamento al centro di Rosarno, «coperto» da fiancheggiatori che monitoravano ogni movimento sospetto. Le precauzioni, però, non sono servite a nulla. All’alba di sabato è finita la latitanza di Antonino Pesce, 26 anni, considerato il reggente dell’omonimo clan decapitato in questi ultimi anni dalle inchieste della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Nonostante la giovane età, Antonino Pesce si era guadagnato i galloni di leader del casato di ‘ndrangheta. Era sfuggito alla cattura ad aprile dello scorso anno, nell’ambito dell’operazione «Recherche» che portò in carcere undici persone, tutte appartenenti alla cosca Pesce.

Il blitz

Quando i poliziotti hanno fatto irruzione nell’appartamento il latitante si è arreso alzando le mani. La magistratura adesso dovrà accertare il ruolo delle persone che sono state trovate in sua compagnia, al momento del blitz. Dopo la cattura di Marcello Pesce (detto «u ballerinu», capo strategico del clan, arrestato nel 2016, dopo sei anni di latitanza, la leadership del gruppo criminale, secondo gli inquirenti, è passata nelle mani del giovane Antonino che avrebbe continuato a gestire gli affari di famiglia. Negli ultimi anni la cosca Pesce si sarebbe occupata soprattutto di fornire i mercati ortofrutticoli del Nord Italia (in particolare l’OrtoMercato di Milano), facendo arrivare dalla Piana di Gioia Tauro, agrumi e prodotti agricoli di ogni genere. Per gestire questo tipo di attività i Pesce avevano messo su una serie di società intestate a prestanome. L’inchiesta «Recherche» aveva assestato un brutto colpo al clan Pesce. L’attività investigativa aveva permesso di accertare l’arricchimento illecito e sproporzionato di molti esponenti della cosca e per questo la magistratura aveva messo i sigilli ai possedimenti della famiglia Pesce.

La ‘ndrina pesce

Un clan, quello dei Pesce, che negli ultimi trent’anni aveva fatto il bello e cattivo tempo a Rosarno. Ogni attività commerciale era nelle loro mani. Marcello Pesce, addirittura, aveva grandi aspirazioni anche nel mondo del pallone. Era infatti direttore generale della Rosarnese, all’epoca militante nel campionato Interregionale. Mirava in alto il boss e voleva diventare direttore sportivo del Cosenza Calcio, in serie C. Coinvolto nell’operazione «All Inside» sfuggì alla cattura, ma questo non gli impedì, in quegli anni, di gestire le attività della sua famiglia. Gli piaceva frequentare le discoteche, da qui il nomignolo di <<Ballerinu>> come confermò Cetta Cacciola, la giovane del clan, morta suicida, dopo aver collaborato con la giustizia. La donna raccontò ai magistrati i rapporti trasversali tra gli esponenti della cosca e le forze dell’ordine.

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