26 marzo 2018 - 21:13

Dagli albanesi del ‘91 agli invisibili di oggi: sbarchi e nuove paure dell’Italia

Quattro ondate migratorie in 27 anni. Calano gli arrivi, ma nelle città vivono 500 mila clandestini. Lo sbarco più numeroso è quello della nave Vlora a Bari: 20 mila persone

di Goffredo Buccini

8 agosto 1991: lo sbarco a Bari di 20 mila albanesi dalla nave Vlora (Ansa) 8 agosto 1991: lo sbarco a Bari di 20 mila albanesi dalla nave Vlora (Ansa)
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Quando ci credevamo italiani brava gente, apparvero sulle nostre spiagge i Vucumprà: primi migranti in un Paese di contrade e campanili. Si dibatteva ancora su quel neologismo ingenuamente razzista mentre Antonio Ricci, sempre in anticipo, l’aveva già tradotto in personaggio per le tv Fininvest. Oggi il Vucumprà da commedia dell’arte fa quasi tenerezza. Nei tre decenni successivi siamo stati approdo di quattro grandi migrazioni, l’ultima delle quali così «brutale» (parole di Emmanuel Macron) per contesto e condizioni da incidere a fondo sul nostro sentire comune. E forse non è finita: con la bella stagione ricominceranno le partenze da una Libia dove i capi tribali vorranno poi ricontrattare accordi stretti con Minniti ministro.

La prima ondata dall’Albania

Nulla di nuovo. La prima vera ondata di profughi e paure, gli albanesi, risale a più d’un quarto di secolo fa. Seguirono i romeni, appena entrati nell’Unione europea nel primo decennio del Duemila, i maghrebini, reduci dalle primavere arabe del 2011 e, giorni nostri, i subsahariani, nigeriani in testa, in fuga da fame e ferocia (nei primi tre mesi del 2018 sono stati però più numerosi eritrei e tunisini).

Eravamo «Lamerica»

Per i nostri dirimpettai adriatici, scongelati dalla fine del comunismo paranoico di Enver Hoxha, eravamo «Lamerica». Approdarono in 25 mila a marzo ‘91 a Brindisi su una flotta di carrette del mare: accolti a braccia aperte. In 20 mila, tutti sulla nave Vlora, a Bari l’8 agosto: e quel secondo impatto fu già diverso. Il governo, benedetto da Cossiga, era per la linea dura: il presidente picconatore diede dell’imbecille al sindaco Dalfino che tentennava all’idea di rinchiudere i profughi nello stadio della Vittoria.

Partirono in 300 mila

Tra il ‘91 e il ‘92 partirono in 300 mila. I giornali si ponevano domande del tono: «E adesso?». Il violento e plurisecolare Kanun, tradotto nei bar, suonava così: «Se un albanese pesta il piede a un altro albanese nel Trecento, si ammazzano fino a oggi...». I rapporti con la Sacra Corona Unita riempirono faldoni di verbali. Nel 2000 gli albanesi balzarono in cima alle statistiche degli stranieri denunciati, tra l’11 e il 12 per cento, col 72 per cento di irregolari. I dati mutarono segno nel quinquennio successivo: cinquemila irregolari individuati contro i 17 mila del ‘98, meno di 3 mila espulsioni contro le 10 mila del ‘99; denunce inferiori a quelle registrate in tutti gli anni Novanta, a fronte di una presenza albanese assai aumentata. Cos’era cambiato? Il contesto.

L’inserimento

Stabilizzazione del Paese d’origine più regolarizzazione dei flussi: uguale meno reati e meno denunce. In quegli anni andammo due volte in Albania, con la missione Pellicano e la missione Alba (in Africa sarà ben più complicato, già lo dimostra l’ambiguità del Niger sull’arrivo di 400 nostri soldati). Karolina (sbarcata a Bari da clandestina per raggiungere il papà, uno dei 20 mila della Vlora) ha raccontato al sito «Barinedita» la sua ascesa da ragazza delle pulizie a manager dell’azienda di costruzioni di famiglia partita coi muretti a secco: «Mi sento assolutamente italiana anche se convintamente albanese», dice esagerando con gli avverbi.

I romeni

Storia tipica. Tuttavia nel più recente rapporto Ismu un italiano su due considera «l’immigrazione una minaccia», sei su dieci sono contro lo ius soli. Il contesto pesa. Ha pesato, e molto, nella seconda ondata di migrazioni che ha avuto per noi la faccia di Romulus Mailat, l’assassino di Giovanna Reggiani: delitto feroce, che fa da picco alle statistiche (32.468 romeni arrestati o denunciati nei primi otto mesi del 2007, primo posto tra i 203 mila stranieri) e costa il Campidoglio al centrosinistra. Un bel libro di Davide Donatiello raccoglie le testimonianze di quei romeni che hanno dovuto «farsi una reputazione» (o rifarsela) da noi: l’artigiano Nicu ha dovuto ripeterlo cento volte in cantiere che «non siamo mica tutti uguali», a chi dava anche a lui del violentatore e dell’assassino. L’ha spuntata, come molti. I romeni gestiscono oggi in Italia quasi 50 mila imprese, anche se lo stigma non è cancellato del tutto. Di Maio sostenne poco prima del voto che importiamo il 40 per cento dei loro criminali: una forzatura.

Effetto Macerata

Restiamo tuttavia in coda per qualità dell’immigrazione. Eurostat nel 2015 ci mette davanti solo alla Grecia e alla Slovenia nei flussi con istruzione elevata (da noi appena il 13 per cento). Il caso di Macerata è un nuovo spartiacque: la morte di Pamela Mastropietro, vittima di spacciatori nigeriani, ha avuto sull’immaginario collettivo un effetto assai simile a quella del delitto Reggiani; il raid dell’ex leghista Luca Traini, rappresaglia contro sei migranti presi a caso, ha quasi raccolto più plauso che condanna popolare.

Gli irregolari

Secondo Swg quasi sette italiani su dieci vogliono il blocco totale degli sbarchi (solo nel 2011, per effetto delle primavere arabe, sono stati 63 mila; 181 mila nel 2016). Il terrorismo islamista cambia di molto scenari e reazioni rispetto alle migrazioni passate, quattro su dieci si batterebbero contro una moschea vicino casa. Dopo il picco di 12 mila sbarchi in un weekend a giugno 2017, la svolta impressa da Minniti ha rallentato i flussi. Ma il pericolo percepito s’incrocia con un’accoglienza colabrodo da cui sono fuorusciti negli anni quasi 500 mila clandestini (un decimo dei regolari), «invisibili» sparsi nelle nostre periferie che spaventano e induriscono i cuori degli italiani. Da lì, forse, dovrà cominciare a lavorare il governo che verrà, quale che sia la sua cifra politica: non dal mare ma dalla terraferma.
(1/ continua)

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