22 dicembre 2017 - 20:57

Nel romanzo di Massimo Camisasca
il Decalogo è un mistero per ragazzi

Dopo numerosi saggi, il vescovo di Reggio Emilia scrive «Le dieci parole di Tullio»
edito da Electa Junior: un libro sui Dieci comandamenti dedicato ai più piccoli

 Illustrazione di Erin E. Stead Illustrazione di Erin E. Stead
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A 71 anni Massimo Camisasca, storico di Comunione e Liberazione e vescovo di Reggio Emilia, si è messo nei panni di un bambino di undici anni, Tullio. Non ha scritto uno dei tanti saggi pubblicati in passato; ha immaginato una storia. La storia di un giovanissimo che scopre dentro le pieghe della sua giornata, delle sue passioni, dei primi amori, dello sport, dei drammi familiari, una voce che gli parla e gli indica sommessamente la strada verso la felicità.

Massimo Camisasca, «Le dieci parole di Tullio. I 10 comandamenti raccontati da un bambino» (Electa junior)
Massimo Camisasca, «Le dieci parole di Tullio. I 10 comandamenti raccontati da un bambino» (Electa junior)

L’argomento è il Decalogo, com’è chiaro fin dal titolo:Le dieci parole di Tullio. I 10 comandamenti raccontati da un bambino (Electa Junior). Frequenti sono le citazioni della Bibbia, seguendo l’insegnamento di papa Francesco di mettere in mano ai ragazzi il Vangelo. Ma è un libro laico, profondamente laico. Di Tullio non si dice che va in chiesa, che va all’oratorio. Non c’è nessun prete nella sua vita. Eppure è nello stesso tempo un racconto pervaso di apertura sul mistero: il mistero della vita quotidiana con le sue promesse e i suoi tradimenti.

Massimo Camisasca
Massimo Camisasca

Tullio nasce e vive in un paese lombardo su un lago, come Camisasca (che è di Leggiuno, come Gigi Riva, di cui fu amico da giovane). Ma Tullio è anche naturalmente un ragazzo di oggi, ed è nello stesso tempo quel ragazzo di sempre che ciascuno di noi custodisce dentro di sé anche se ha 70 anni. Nel libro non ci sono parolacce. Naturalmente ci sono i social, ma con una presenza molto delicata. Non parla di un mondo irreale, parla di un mondo a cui guardiamo, non angelicato né astratto. Un mondo bello, di rapporti veri, in cui c’è meno paura di quanta ce ne sia oggi, meno tensioni e più attenzione alla realtà delle cose piccole e luminose che ci circondano.

Il libro è anche una riflessione sul catechismo, che nelle parrocchie — sostiene l’autore — «vive come un processo pendolare tra le lezioni frontali vecchio stile e le partite a pallone, le pizzate o le canzoni. Manca molto spesso l’incontro con quella storia che nasce con Abramo e arriva fino a noi, la storia del popolo giudeo-cristiano. Una storia antica e attuale, viva, fatta di santi e di peccatori. Queste vicende sono pressoché sconosciute. Non solo non si sa più se Napoleone sia vissuto prima o dopo Giulio Cesare, ma non si sa più nemmeno se Mosè è vissuto prima o dopo Cristo».

La scrittura per Camisasca è «una delle strade fondamentali della guarigione. Jean Guitton ha affermato che si nasce vecchi e si percorre tutta la vita per diventare giovani. Scrivere è una via fondamentale di giovinezza. Scrivo a mano, con la penna stilografica, perché amo vedere le parole crescere davanti a me sul foglio bianco. La parola rimane la forma più alta di comunicazione dell’uomo all’uomo. Certo, anche l’immagine è parola, anche i sentimenti e i movimenti del volto, ma senza la parola in senso stretto, sarebbero senza nome. Per questo amo molto il silenzio e sono molto interrogato dall’assenza della parola negli animali e nelle piante. Mi chiedo quale sia la loro lingua e mi incuriosiscono molto gli studi recenti sulla comunicazione all’interno del regno animale e vegetale. Per questo, un gatto sarà un protagonista discreto del sequel di questo libro, che potremmo chiamare Tullio 2, e che spero di potere scrivere nei prossimi mesi. Il gatto ci guarda silenzioso, sembra volerci portare un messaggio da un mondo che ci sorpassa e verso cui ci invita».

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