5 gennaio 2018 - 20:24

Rauch racconta la grafica
Messaggio, forma, società

Pubblicità, campagne di «pubblica utilità», politica e costume nel libro dell’illustratore (edito da La casa Usher). L’autore mostra cambiamenti del gusto e rivoluzioni sociali

Bruno Munari, manifesto per Campari (1964) Bruno Munari, manifesto per Campari (1964)
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La grafica è un racconto che attraversa tutti i nostri comportamenti, i nostri saperi e mette al centro, accanto ai movimenti culturali e artistici a cui fa riferimento, piccoli e grandi protagonisti, non per qualità ma per la dimensione delle specifiche attività e la loro diffusione.

È una professione per definizione «democratica». Il volume di Andrea Rauch, Il racconto della grafica (edito da La casa Usher), è un viaggio appassionato,scritto come protagonista tra altri protagonisti; un racconto, quindi, che non è solo di carattere cronologico.È un grande arcipelago di storie locali,di avventure internazionali, di persone e di esperienze ad ogni angolo del mondo, nel segno di un alto tasso di «creatività», svelando più di qualsiasi altra attività di carattere progettuale, come il design e l’architettura, gli indizi, anche periferici, di una storia che è sempre esistita, perché «l’uomo è ciò che comunica». Rauch ha deciso di partire dalla fine dell’Ottocento,in particolare da Jules Chéret e Henry de Toulouse -Lautrec, per arrivare ai giorni nostri. Ciascun autore è se stesso, ma le radici sono comuni; rari sono i libri recenti che hanno questo impianto.

«Il racconto della grafica» (La casa Uher, pagine 384, euro 48)
«Il racconto della grafica» (La casa Uher, pagine 384, euro 48)

Un volume molto utile che mette ordine in un ambito dove le scoperte sono sempre possibili; un solo esempio, la figura fondamentale di Germano Facetti, che dopo essere stato deportato come antifascista nel lager di Mauthausen, alla fine degli anni Cinquanta si trasferisce a Londra e reinventa la grafica della famosa Penguin Books. D’altro canto, Rauch non è solo un grafico; scrittore, illustratore, curatore di mostre, docente presso università italiane e internazionali. Tra le sue mostre, ricordo Epoca (1996), a Siena nelle sale di Santa Maria della Scala, un viaggio visivo con centinaia di manifesti che dal secondo dopoguerra hanno accompagnato la nostra vita quotidiana.

Andrea Rauch (Siena, 1948)
Andrea Rauch (Siena, 1948)

Ecco, questo volume di quasi 400 pagine è anche un diario che, tra estetica e semantica, direbbe il nostro Gillo Dorfles, ci ricorda che il passato è sempre presente e che il futuro è già qui. Alcuni esempi: l’attualità del lavoro di grafici partigiani come Lica e Albe Steiner, ma anche la musica degli anni Sessanta, in particolare il famoso manifesto di Milton Graser, dedicato a Bob Dylan (1966) che è anche l’immagine di copertina.

Rauch ci prende per mano e, passo dopo passo, mette in mostra i cambiamenti del gusto, ma anche le grandi rivoluzioni sociali: basti pensare, su piani diversi, da un lato, al manifesto di Giancarlo Iliprandi del 1967, dedicato al controllo delle nascite, dal titolo emblematico Basta una pillola, e, dall’altro lato, il sistema di orientamento e di segnaletica per le grandi linee metropolitane «inventate» da Bob Noorda e Massimo Vignelli,che è diventato un modello internazionale, a cominciare da New York e San Paolo del Brasile.

Ma anche l’immagine della politica, soprattutto della Prima Repubblica, fino al simbolo dell’Ulivo, accanto a tutta la grafica editoriale italiana e non solo, che tuttora resiste rispetto alle nuove tecnologie, fanno ancora parte della nostra cultura visiva, e dietro ad ogni opera, c’è un autore che troverete svelato in questo libro; le stesse pagine del «Corriere» sono il risultato di una serie di interventi grafici che, dopo i primi tentativi dello stesso Noorda, nella seconda metà degli anni Ottanta, hanno trovato una propria identità nel lavoro di Gianluigi Colin.

I libri non potrebbero esistere, come nemmeno le news via internet, senza la presenza di un art director, ovvero di un progettista grafico, spesse volte non conosciuto dal grande pubblico, che rende possibile l’informazione e la conoscenza dei fatti.

Quale sarà il futuro di questo mestiere? Se lo chiede nell’ultimo capitolo Andrea Rauch e la risposta la trova volgendo lo sguardo all’indietro, senza alcuna nostalgia, recuperando così un concetto che era stato, prima in Italia poi in tutto il mondo, una sorta di manifesto dalla fine degli anni Ottanta: la «Grafica di pubblica utilità».

Ricordo un dibattito infuocato tra grafici durante uno dei convegni di quegli anni, a Venezia durante una Biennale, intorno, tra l’altro, al rapporto tra contenitore e contenuto, ovvero il limite della libertà del grafico rispetto al testo o alle immagini di uno scrittore o di un artista: Gianni Sassi, l’inventore grafico, ma non solo, di riviste come «Alfabeta» o «La Gola» o di festival come «Milano Poesia», fece un intervento molto critico nei riguardi di tutti quei grafici che si mettevano in prima fila, e non al servizio dell’autore. Per Sassi, come per noi, prima viene l’opera, poi la sua rappresentazione visiva.

Il libro di Rauch si conclude, giustamente, con la speranza che la grafica, mantenendo sempre un alto tasso di creatività, torni ad essere protagonista, al servizio di una collettività che ha bisogno di chiarezza, se vuole scegliere un prodotto o un servizio, ma anche un movimento politico, nel segno di una razionalità emotiva, ma controllabile rispetto alle fonti e ai fatti.

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