21 gennaio 2018 - 21:33

Bruno Zevi, l’architettura militante
nel segno del codice anticlassico

Cento anni fa nasceva il critico di statura internazionale. Convegni e libri per celebrare la ricorrenza. Lascio l’Italia nel 1938 a causa delle leggi razziali e si laureò ad Harvard

Bruno Zevi  in uno scatto del 1993  di Donatello Brogioni/Contrasto Bruno Zevi in uno scatto del 1993 di Donatello Brogioni/Contrasto
shadow

Esattamente cento anni fa, il 22 gennaio 1918, nasceva a Roma Bruno Zevi, con Manfredo Tafuri ultimo critico di architettura italiana di rilevanza internazionale. Aveva lasciato l’Italia nel 1938 a seguito delle leggi razziali e si era laureato in Architettura nel 1942 alla Graduate School of Design di Harvard, diretta da Walter Gropius. Dal 1948 insegnò allo Iuav di Venezia Storia dell’architettura, una disciplina che aveva allora ancora un respiro critico e inquadrava l’architettura come fenomeno culturale.

Dal 1954 (al 2000, anno della morte) tenne una rubrica sul settimanale «L’Espresso» e l’anno successivo fondò il mensile «L’Architettura. Cronache e storia». Fu anche fondatore dell’Istituto nazionale di architettura (In/Arch) e impegnato in politica, prima in Giustizia e Libertà, poi nel Partito radicale. Come Tafuri, maturò un’idea di critica militante: il critico è come un medico che individua le patologie di una società e indica i possibili indirizzi terapeutici. Anche mettendosi — nel caso del critico d’architettura — a lavorare sul tavolo da disegno del progettista.

Aedo dell’architettura organica, per lui Frank Lloyd Wright rappresentò il vertice del Movimento Moderno, come mostrò nei suoi primi studi: Verso un’architettura organica del 1945 e Frank Lloyd Wright del 1947. Ma il testo-manifesto che lo rende più vicino a noi fu quello nato in risposta al libro Il linguaggio classico dell’architettura (1963, traduzione italiana nel 1971), che raccoglieva sei programmi radiofonici dell’inglese John Summerson. Nel 1973 Zevi rispose a quel «richiamo all’ordine» di Summerson con un polemico volumetto edito da Einaudi e intitolato Il linguaggio moderno dell’architettura, sottotitolo: Guida al codice anticlassico. Elencava una serie di «invarianti» che canonizzavano l’architettura moderna, celebravano quella organica e, in fondo, aprivano alla successiva esperienza del decostruzionismo. I cui esiti sono anche i grandi grattacieli che oggi vediamo in città sebbene questi — linguaggio espressivo a parte — siano esito di marketing e finanziarizzazione e non più di una riflessione interna all’architettura.

Fu anche (poco) architetto. Vale la pena ricordare le sue biblioteche. Come ricorda Malcom Einaudi Humes nell’introduzione a Le biblioteche di Giulio Einaudi, Zevi progettò quella di Dogliani (1963) che doveva costituire «la prima pagina di una voluminosa opera di supporto culturale a future generazioni di italiani». Seguì solo quella di Beinasco (1965), chiusa da anni.

In occasione di questa ricorrenza si moltiplicano riedizioni e convegni su Zevi. Per utilità vorrei ricordarne alcuni. Di Zevi stanno uscendo Architettura in nuce (QuodLibet) con una bella introduzione di Rafael Moneo; Ebraismo e architettura (La Giuntina) accompagnata da un saggio di Manuel Orazi; Saper vedere la città (Bompiani), dedicato a Ferrara come «prima» città europea e Saper vedere l’architettura (Einaudi). E ancora: Zevi su Zevi: architettura come profezia (Marsilio); Storia e controstoria dell’architettura in Italia (Castelvecchi); Storia dell’architettura moderna (Einaudi); Il linguaggio moderno dell’architettura (Einaudi) e Frank Lloyd Wright (Castelvecchi).

Ci sono poi pubblicazioni a cura della Fondazione Bruno Zevi e appuntamenti come il «XII Premio Bruno Zevi per un saggio storico-critico sull’architettura» in occasione del Salone del Restauro di Ferrara e la mostra «Gli architetti di Zevi», a cura di Jean-Louis Cohen e Pippo Ciorra al Maxxi.

Poi i convegni: «Architectural history as space: Bruno Zevi at 100», a cura dell’Harvard School of Design all’Università di Cambridge del Massachusetts; «Bruno Zevi e l’architettura in Sudamerica» a San Paolo del Brasile come collaborazione tra La Sapienza e la Faculdade de Arquitetura de San Paolo; «Ebraismo, modernità e architettura secondo Bruno Zevi» ad Haifa in collaborazione con Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna. Appuntamenti, organizzati da università, ordini professionali o istituzioni sono previsti anche in molte altre città italiane, come Palermo, Firenze, Milano (Triennale) e Roma, dove ci saranno visite guidate sul filo conduttore di brani tratti da Zevi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT