28 gennaio 2018 - 22:38

Collezione Cavallini Sgarbi a Ferrara Rina, così gentile ma forte
sulle strade dell’arte e della vita

Il testo dal catalogo (La nave di Teseo) della mostra «La Collezione Cavallini Sgarbi»
al Castello Estense di Ferrara: 130 opere da inizio Quattrocento a metà Novecento
- Sei secoli di tesori a Ferrara di Pierluigi Panza

Rina Cavallini (1926-2015) e Giuseppe Sgarbi (1921-2018) Rina Cavallini (1926-2015) e Giuseppe Sgarbi (1921-2018)
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Anticipiamo il testo di Claudio Magris contenuto nel catalogo della mostra al Castello Estense di Ferrara La Collezione Cavallini Sgarbi. Da Niccolò dell’Arca a Gaetano Previati. Tesori d’arte per Ferrara, a cura di Pietro Di Natale, pubblicato da La nave di Teseo.

Non sono le aste di opere d’arte che mi toccano a fondo seguendo i ricordi di Rina Cavallini. Non sarebbero meno incancellabili se riguardassero, come nei suoi vent’anni, solo aste per gli appalti di opere in muratura o altri oggetti della battaglia per gli acquisti. A incantare è la straordinaria, forse inconsapevole, forza di affrontare senza batter ciglio e con leggerezza la vita e ciò che essa chiede, senza riguardi. L’istintiva capacità di tener testa, con semplicità, con amore, con energia, con slancio, con lealtà e insieme astuzia, a ciò che la vita ci chiede. Quella testimonianza mi ha ricordato un detto del Vangelo che mi è spesso presente, il comandamento di essere semplici come colombe e astuti come serpenti. Vita vera, senza fronzoli, senza debolezze, senza compiaciute inquietudini; forse con un po’ d’ansia nel cuore ma dominata e taciuta, sempre tenuta per sé. Una donna che sa tirar fuori la grinta, consapevole che altrimenti la vita è spietata, ma che è avvolta dalla gaiezza, dalla gentilezza nel senso profondo e antico del termine e dalla disponibilità all’avventura, al rischio quotidiano. Una ragazza che non si fa vincere nella lotta con i maschi senza perdere l’incanto della femminilità e senza ideologie sulla lotta tra i sessi. Emancipazione femminile vissuta, non discussa o sbandierata.

Quei viaggi di Rina Cavallini compongono una sorta di Viaggio in Italia degno di itinerari e libri famosi. Il conflitto inevitabile in ogni confronto e in ogni progetto, affrontato con la perizia necessaria a combattere e insieme con l’allegria di una gita di scuola, godendo e frenando il fascino esercitato sui compagni. Combattere: un verbo non a caso spesso usato, almeno un tempo, per indicare la fatica della madre che tira su i figli; anche della moglie che, senza rivendicazioni risentite, diventa il muro maestro della famiglia, la pietra angolare della casa.

Combattere — probabilmente, all’inizio, senza troppa voglia di farlo — per una limpida accettazione della legge della vita, divenuta un modo di essere. Chissà se, all’inizio, a Rina piaceva occuparsi di aste di opere d’arte. Forse anche no, avrebbe fatto lo stesso se avesse dovuto impegnarsi in altre cose. Ma, poco a poco, alla fine quelle cose fronteggiate diventano una sostanza, una modalità del proprio essere. Quello che conta è la responsabilità, accettata senza riserve; responsabilità che diventa spavalda e affettuosa essenza del proprio essere.

Quelle poche pagine sono la testimonianza di una vera cultura in senso forte. Non perché si occupino di valori e di grandezze dell’arte. Sarebbe vera cultura anche se l’oggetto fosse la più umile — humilis, humus, terra — realtà quotidiana. Cultura non vuol dire necessariamente conoscere cose importanti e sdottorarne. Cultura è l’armonia, la concreta unità, in una persona, di ciò che si sa, di ciò che si sa di sapere e di non sapere, di ciò in cui si crede e di ciò che si è. Una unità che costituisce il fascino.

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