Milano, 2 dicembre 2017 - 22:22

Il ministro Calenda: «Ilva, emergenza nazionale. L’Italia bloccata dai veti incrociati»

Il ministro dello Sviluppo Economico: «La fabbrica rischia di chiudere. C’è un silenzio assordante della classe dirigente, non soltanto del Pd»

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«Il dato della realtà è questo: oggi Comune di Taranto e Regione Puglia presentano un ricorso contro un piano ambientale che prevede 1,2 miliardi di investimenti a carico dell’investitore, la copertura dei parchi minerari che inizierà a gennaio, e una produzione limitata a 6 milioni di tonnellate sino a che non si completano tutte le misure. Un piano approvato da una commissione di esperti indipendenti del ministero dell’Ambiente, che porta l’Ilva ad essere una della acciaierie più avanzate al mondo. Se il Tar concederà la sospensiva al piano, come chiesto da Emiliano, si dovrà iniziare il processo di spegnimento mentre si ricorre al Consiglio di Stato».

Lei ha parlato di irresponsabilità della classe dirigente regionale, perché?
«Emiliano ha fatto ricorso su tutto: dai vaccini al Tap, all’Ilva stessa. Per fortuna li ha sempre persi. Oggi però la situazione è diversa, perché il rischio è che Mittal ritenga impossibile gestire l’acciaieria più grande della Ue con il sindaco della città e il presidente della Regione che vogliono cacciarlo. È stupefacente quello che ha dichiarato Emiliano, sorprendendosi dello scandalo che ha suscitato, dicendo che è solo uno dei ricorsi, come tanti altri. Viene da pensare che non abbia consapevolezza di quello fa e che per lui ricorrere sia normale attività di governo. Per queste ragioni invece di ignorare i ricorsi e le polemiche che Emiliano cerca con ogni mezzo ritengo sia importante dire con chiarezza e sanza mezzi termini che quello che stiamo vedendo in Puglia è inaccettabile».

Questo lo deciderà il Tar, o no?
«Certo ma il problema non è solo giuridico. C’è una Regione che ha due infrastrutture strategiche per l’intero Paese, l’Ilva e il Tap, contro le quali il Governatore ha mosso una guerra. Dice che vuole Ilva a gas, cosa che non sta in piedi, perché in nessun paese, neanche quelli che pieni di gas, c’è un’acciaieria delle dimensioni di Ilva che va a gas. Ma poi comunque fa ricorsi contro un tubo, quello del Tap, che porta in Europa, attraverso l’Italia, il gas azero. Ci sono 3 mali che hanno condizionato tutta la seconda Repubblica: la politica dei ricorsi al Tar; la fuga della realtà, quando si promettono cose che non si possono fare; l’irresponsabilità nei confronti delle conseguenze degli atti che si pongono in essere. Lo vedremo quando poi Emiliano dirà che è responsabilità del governo prendersi cura delle 20 mila persone che perderebbero il lavoro se Ilva chiude».

Ilva, le cinque cose da sapere
Il sequestro

Perché accosta il Tap all’Ilva?
«Ilva è il caso più eclatante degli ultimi anni, si tratta di oltre 5 miliardi, il più grande investimento industriale nel Meridione da decenni. Ma quello del Tap è un caso altrettanto significativo: per un piccolo tubo di 1,5 metri di diametro, che passa 16 metri sotto la costa e a cui siamo arrivati dopo la valutazione di 13 percorsi alternativi, siamo in grande ritardo, rischiamo una figuraccia internazionale. La Regione è persino arrivata a certificare che gli ulivi sono alberi ad alto fusto per bloccare l’opera mostrando livelli di creatività mai visti prima».

Perché sono opere strategiche per il Paese?
«Se Ilva chiude andiamo a comprare l’acciaio in Germania e perdiamo un punto di Pil. Con il Tap diversifichiamo rispetto al gas russo. Di fronte a tutto questo Emiliano dice che la questione riguarda solo la Puglia. E il Sindaco minaccia battaglie in quanto discendente degli Spartani. Il governo intanto ha tenuto in piedi l’Ilva con quasi 500 milioni di euro prestati all’amministrazione straordinaria. Soldi degli italiani, di tutti i contribuenti che rientrerebbero se l’acquisto andasse a buon fine».

È una storia già vista con Alitalia.
«Certo, è l’idea che tutto è gratis e dovuto. Il gas deve essere ad un prezzo basso ma senza gasdotti. Si vogliono posti di lavoro ma quando ci sono investitori non vanno bene, e quando non ce ne sono è colpa del Governo. C’è un populismo istituzionale che ormai è quasi un virus. Si è già visto anche con Alitalia, che probabilmente non otterrà condizioni migliori al prossimo compratore rispetto a quelle che offriva Ethiad, condizioni che a loro volta erano peggiori di quelle che garantiva Air France anni fa. Un processo che è una continua fuga dalla realtà. Se Mittal rinuncia all’acquisto Emiliano non si farà carico delle bonifiche e dei lavoratori,e sarà il primo a protestare per il prezzo del gas dopo aver boicottato il Tap. Su Alitalia già si riparla di nazionalizzare dopo aver speso miliardi di euro dei contribuenti. Perché alla fine il conto di tutta questa cialtroneria lo pagano sempre i tanti italiani che lavorano, producono e tengono in piedi il paese».

Pensa anche ai sindacati? La protesta contro Emiliano sono lacrime di coccodrillo?
«Non si può generalizzare. Per Alitalia sì, Annamaria Furlan ha definito giustamente quel caso un esempio di populismo sindacale. Per l’Ilva è diverso i sindacati metalmeccanici hanno ben altro spessore e consapevolezza del rischio che si corre. Insieme abbiamo vinto una battaglia giusta con l’investitore perché riconoscesse i livelli salariali precedenti».

Si può fare politica industriale in questo Paese?
«La si fa. Con Industria 4.0., con il piano Made in Italy, con la Strategia energetica nazionale. Gli investimenti degli imprenditori sono cresciuti più del 10% l’export è il doppio di quello francese. Ma certo senza un sistema amministrativo che funziona e una politica ancorata alla realtà diventa difficile in particolare occuparsi dei casi più complessi di quei settori, dall’acciaio ai call center, più colpiti dalla crisi. E in questo modo aumentano i divari».

Negli stabilimenti Ilva si sono circa 200 ispezioni ambientali l’anno, con 500 risorse che lavorano per gestirle.
«Ecco, l’unico modo per risolvere il problema è investire il miliardo e duecento milioni del piano ambientale e il miliardo confiscato ai Riva per le bonifiche».

Il silenzio del Pd le pesa?
«Il silenzio non è solo del Pd, che vede peraltro Bellanova e De Vincenti insieme a Galletti impegnati tanto quanto me, ma il silenzio della classe dirigente italiana anche negli altri partiti non populisti e nella società civile. Ed è sconcertante. Non c’è una strategia di sviluppo senza una presa di coscienza del fatto che la fuga dalla realtà è la malattia che nutre il populismo. Noi abbiamo stabilito: dal 2025 niente carbone nelle centrali elettriche. Bene, tutti d’accordo, oggi tutti vogliono decarbonizzare, ma se poi provi a fare le necessarie infrastrutture nessuna Regione o comune si astiene dal fare ricorsi. Così non si va lontano».

Si aspetta una parola da Gentiloni?
«Ogni giorno mi coordino con Gentiloni, il quale peraltro mi sta supportando molto in Europa che è un altro fronte aperto e difficile di questa vicenda Ilva».

Ci vogliono norme diverse?
«Fallito purtroppo il referendum, la prossima legislatura si deve porre il problema di una clausola supremazia in grado di superare i veti locali di fronte ad interessi strategici nazionali, come in Germania».

Il Tap rischia di fallire come l’Ilva?
«L’Ilva in realtà è già in amministrazione straordinaria, e rischia di chiudere. Il Tap lo faremo con enormi difficoltà, e con l’umiliazione internazionale di essere l’unico Paese che non rispetta i tempi, mentre tutti gli altri hanno già finito o stanno completando i loro tratti, dall’Albania alla Grecia alla Turchia».

Oggi Grasso viene incoronato leader Mdp, che ne pensa?
«Penso che bisogna trovare il modo di fare un’alleanza ampia nel centrosinistra, ma che parta dai contenuti e che non sacrifichi la coerenza alle logiche di appartenenza di questa legge elettorale. Grasso è una persona di grande livello, porterà un contributo, ma ci vogliono programmi sui punti nodali del Paese. Qui ci occupiamo solo di polemiche sulle banche e della cronaca del giorno, mentre rischia di chiudere l’Ilva e il silenzio è assordante. La campagna elettorale è iniziata all’insegna delle promesse che non si manterranno e si tiene alla larga dalla realtà dove le soluzioni sono più complesse e le spiegazioni semplicistiche non reggono. Se questo Paese non fa un bagno di realismo rischiamo lo squagliamento disordinato della Seconda Repubblica».

Esiste un partito, o metodo, Gentiloni?
«Io credo che Gentiloni ha portato un metodo di lavoro nuovo nel governo, proseguendo le riforme iniziate da Renzi ma rassicurando il Paese e rendendo il lavoro più fluido. Credo che sia la strada giusta, ma senza voler togliere meriti ai risultati del Governo Renzi. Il paradosso attuale è che i provvedimenti di Renzi sono stati i più riformisti da molti anni, ma hanno comunicato ad una parte ampia del Paese non un senso di svolta, ma di insicurezza. Usare il coraggio riformista di Renzi e la forza tranquilla di Gentiloni secondo me è un mix che porterebbe il Pd lontano».

Ma il programma?
«Appunto manca la costruzione di un programma solido che porti avanti le riforme, e al momento è un pericolo mortale. La campagna elettorale oggi si occupa di realtà virtuale innestata in un Truman show giornaliero incomprensibile per i cittadini e pieno di rancori e sospetti persino all’interno del Pd. È una situazione che non paga, sicuramente non con gli elettori di centrosinistra. E non è in linea con quanto fatto dagli ultimi due governi, che hanno affrontato anche nodi molto complessi e difficili in modo serio rimettendo in moto il Paese»

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