26 dicembre 2017 - 22:45

Calenda: «Riforme, niente stop dopo referendum. Serve una Costituente»

Il ministro dello Sviluppo Economico: «È l’unico modo per aprire in maniera ordinata la Terza Repubblica invece di subire la dissoluzione caotica della Seconda». Chi voterebbe? «Guardo con grande interesse all’alleanza tra il Pd ed Emma Bonino».

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Ministro Carlo Calenda, che voto darebbe alla legislatura che sta per finire?

«Non spetta a me dare voti. Avevamo due grandi emergenze, quella economica e quella istituzionale. Sul primo versante il bilancio è positivo per merito di tanti fattori: la Bce, la capacità di reazione delle imprese italiane ma anche la politica economica dei governi Letta, Renzi, Gentiloni che ha ridotto il deficit liberando risorse per la crescita. I problemi non sono alle nostre spalle, ci vorranno anni per comporre le fratture sociali ed economiche della grande crisi. Ma i governi di questa legislatura, primo fra tutti quello Renzi, hanno fatto molto di più per la crescita dell’insieme degli altri governi della seconda Repubblica».

E sull’altra emergenza, invece, quella istituzionale?

«Abbiamo perso la sfida della costruzione di un sistema più forte ed efficiente. Ritengo questo nodo fondamentale in uno scenario internazionale pieno di incertezze. La sicurezza nazionale viene messa a rischio da un sistema che rallenta l’implementazione delle decisioni, favorisce il prosperare di particolarismi e ci trasforma nella Repubblica dei ricorsi al Tar e dei feudi locali. La prossima legislatura dovrà avere al centro questo tema, diventato tabù dopo il referendum. Forse la strada giusta, per aumentare il coinvolgimento dei cittadini, potrebbe essere quella di un’assemblea costituente».

Addirittura. E perché?

«È l’unico modo per aprire in maniera ordinata la terza Repubblica invece di subire la dissoluzione caotica della seconda. Serve un luogo per affrontare le pulsioni diverse emerse dal referendum costituzionale e da quelli di Lombardia e Veneto. Un luogo per porre fine alla kermesse delle leggi elettorali estemporanee, ridisegnare il rapporto tra esecutivo e legislativo, per affrontare il tema di una democrazia efficace, che peraltro affiora in tutti i Paesi occidentali».

La cosa più importante che ha fatto come ministro?

«Industria 4.0, il piano Made in Italy e la Strategia energetica nazionale sono stati i tre pilastri dello sviluppo. I dati sulla produzione industriale, sugli investimenti privati e sulle esportazioni confermano che la strada è quella giusta. Ma se questo è il “gioco d’attacco” sono altrettanto orgoglioso di quello che abbiamo fatto per i settori industriali in difficoltà con una politica commerciale più forte contro il dumping, il rafforzamento del golden power contro gli investimenti predatori e il lavoro sulle crisi industriali, dall’Alcoa al protocollo contro le delocalizzazioni dei call center. Siamo riusciti a riportare al centro l’industria e il lavoro e questo era il mio obiettivo politico».

E la cosa più importante che invece non siete riusciti a fare?

«Come ministro, il ritardo nella costruzione di quello che dovrebbe essere il nostro Fraunhofer (la rete tedesca degli istituti di ricerca applicata per le imprese, ndr), rimasto per un anno in balia delle “navette” tra ministeri e organi di controllo. E poi non aver avuto il tempo di presentare una seconda legge sulla concorrenza più incisiva dopo la prima approvata con anni di ritardo. Per i governi nel loro insieme, abbiamo mancato l’obiettivo di sconfiggere il rancore e la sfiducia nel futuro, ancora troppo diffusi nel Paese. Anche per colpa di molti errori di comunicazione che hanno dato il senso di un distacco con la parte del Paese che ancora soffre.

Sulla vendita di Alitalia è vero che state stringendo con Lufthansa?

«Abbiamo tre offerte. Le valuteremo con molta attenzione e a metà gennaio inizieremo la negoziazione in esclusiva».

D’accordo, ma la compagnia tedesca è in vantaggio rispetto a Easy Jet e al Fondo americano Cerberus oppure no?

«Ripeto, abbiamo tre offerte. Il nostro obiettivo è raggiungere un accordo prima delle elezioni. Oggi Alitalia è gestita meglio e finisce l’anno avendo lasciato sostanzialmente intatto il prestito ponte. Ma è un’azienda fragile che non può sopravvivere da sola attingendo illimitatamente al denaro pubblico».

E sull’Ilva? C’è il rischio che il compratore, ArcelorMittal, si ritiri?

«Non lo so. Ha chiesto garanzie sugli investimenti allo Stato per tutelarsi nel caso in cui i ricorsi al Tar invalidino tutto, magari fra due anni. È inaudito: 5,3 miliardi di euro per un investimento industriale nel Sud non si vedevano da 40 anni. Ma la cosa incredibile è che nel merito del piano ambientale non ci sono osservazioni rilevanti»

Be’, con il governatore della Puglia Michele Emiliano ormai siamo allo scontro quotidiano.

«Nell’ultimo incontro abbiamo rivisto punto per punto le richieste di Comune e Regione, in larghissima parte accettate, a partire dall’anticipo della copertura dei parchi minerari. Nel giro di poco più di 24 mesi Ilva potrebbe diventare la migliore acciaieria europea, liberando una città ostaggio del dilemma salute/lavoro che non è degno di un Paese civile. Il sindaco mi ha chiesto garanzie per ritirare il ricorso. Gli ho proposto di firmare con istituzioni, investitore, parti sociali un accordo di programma. Spero davvero che prevalga quella responsabilità invocata da tutti i sindacati, oltre che da Gentiloni»

Ha detto più volte che alle prossime elezioni non si candiderà. Non glielo chiedo di nuovo. Ma, da cittadino, chi voterebbe?

«Il mio campo è quello del centro sinistra. Del resto ho servito, e ne sono orgoglioso, sotto tre presidenti del Partito Democratico che in modi diversi hanno mostrato qualità e capacità. Guardo con grande interesse all’operazione di Emma Bonino, è fondamentale che l’alleanza con il Pd vada in porto. Ma sopratutto mi batterò perché il centro sinistra recuperi il linguaggio della realtà e della responsabilità contro quello della fuga dalla realtà dei 5 Stelle e della Lega. La prossima legislatura è molto pericolosa».

Pericolosa? E perché?

«La fine degli stimoli della Bce, un’ Eurozona orientata a minore flessibilità, l’Occidente sempre più diviso e il Mediterraneo tornato al centro delle crisi. Non è tempo di rottamazioni, slogan e leadership solitarie ma di costruire un ampio fronte liberal democratico capace di mettere in sicurezza il Paese mentre attraversa il più difficile crocevia nella storia del Dopoguerra».

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