Milano, 25 ottobre 2017 - 21:57

Pensioni, il Pd frena sull’aumento
dell’età per l’addio al lavoro a 67 anni

Il ministro Martina: stop all’automatismo, le norme vanno riviste. Sì della Corte Costituzionale al bonus Poletti. Sentenza coerente con quella precedente, attesa per le motivazioni

Il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina Il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina
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Da un lato c’è l’Istat, che certifica l’aumento di 5 mesi dell’aspettativa di vita a 65 anni, facendo salire l’età pensionabile, dal 2019, a 67 anni. Dall’altro, la Corte costituzionale, che dichiara legittimo il «bonus Poletti» e quindi «salva» gli adeguamenti per il biennio 2012-2013 solo per le pensioni fino a 6 volte il minimo consentendo allo Stato una spesa di soli 2,8 miliardi di euro contro i 24 stimati. In mezzo il caos sulle pensioni con critiche e bocciature da tutti i fronti.

Contro la decisione della Consulta, tanto per cominciare. Ieri i giudici hanno respinto le censure di incostituzionalità del decreto legge 65/2015, il cosiddetto «bonus Poletti», ritenendo che la mini perequazione decisa nel 2015 «realizzi un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica». Il bonus sanava la situazione creatasi dopo la sentenza della Corte costituzionale che aveva bocciato il blocco dell’indicizzazione per il biennio 2012-13 deciso dal governo Monti. Il bonus «salvava» la rivalutazione sugli assegni fino a 6 volte il minimo, lasciando fuori però, secondo i ricorrenti, «oltre 6 milioni di persone».

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Ma la Corte, ritenendo non irragionevole la soluzione del bonus, considera coerente la sentenza di ieri con quella del 2015, come emergerà dalle motivazioni. Il governo tira un sospiro di sollievo: lo Stato rischiava una spesa di 30 miliardi. Per la Cisl è «un’altra beffa ai pensionati», mentre per lo Spi-Cgil «non viene risolto il problema del reddito dei pensionati». Il leader della Lega Matteo Salvini attacca: «È una sentenza che frega milioni di italiani».

Ma c’è un caso anche sull’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni. Se l’Inps ricorda che le baby pensioni sono costate fino al 2012 150 miliardi di euro, il vicesegretario del Pd (e ministro delle Politiche agricole) Maurizio Martina chiede di «rivedere l’aumento automatico», perché «non tutti i lavori sono uguali» e «non tutti i lavoratori hanno la stessa aspettativa di vita». Serve «un rinvio dell’entrata in vigore del meccanismo: i tempi per una discussione parlamentare ci sono e io credo sia giusto prendersi tutto lo spazio utile». D’accordo anche Giuliano Poletti, ministro del Lavoro: «C’è ancora un anno di tempo se si vuole discutere e confrontarsi nel merito». E se il ministro della Giustizia Andrea Orlando si augura «un dialogo con le forze che stanno alla nostra sinistra», Francesco Boccia (Pd), presidente della Commissione Bilancio della Camera, ragiona su un «time out»: «Il meccanismo non tiene conto di storie e caratteristiche dei lavori».

Proprio ieri in un’audizione alla commissione Affari istituzionali della Camera, il presidente dell’Istat Giorgio Alleva ha rivelato che nel 2016 la maggioranza dei pensionati è costituita da donne (il 52,7%) che però percepiscono un importo mensile molto più basso rispetto agli uomini: 1.137 euro contro 1.592 e quasi la metà di loro (47,6%) ha assegni sotto i mille euro. Non solo: «Sedici anziane su 100 non ricevono alcuna forma di pensione».

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