16 febbraio 2018 - 21:35

Boccia e gli eurobond,
la variabile Salvini

Confindustria ha distribuito un documento di ben 38 pagine che l’associazione ha intenzione di sottoporre al vaglio dei politici eletti subito dopo il 4 marzo. Frutto dell’elaborazione del neodirettore del Centro Studi, Andrea Montanino dirigente ex Fmi

di Dario Di Vico

Una foto dell’assise di Confindustria a Verona Una foto dell’assise di Confindustria a Verona
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Errare è umano, perseverare non si addice alla Confindustria. E così Vincenzo Boccia, memore dello scivolone dell’associazione alla vigilia del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, a tre settimane dall’altrettanto delicata scadenza elettorale del 4 marzo è stato attentissimo a evitare ogni trappola. A cominciare dal confronto diretto con i segretari dei partiti in lizza. La sua base, gli imprenditori che ieri sono corsi a riempire in gran numero l’hangar della Fiera di Verona, alla fine voteranno in grande maggioranza per il centrodestra obbedendo a una sorta di assonanza antropologica prima che a una scelta politica in senso stretto. Quasi un inevitabile ritorno a casa. Lo faranno senza interrogarsi più di tanto sulla variabile rappresentata dal protagonismo e dai programmi di Matteo Salvini, finora del resto i leghisti andati al governo a Roma o nelle Regioni non hanno mai adottato provvedimenti anti-impresa, anzi. E Salvini non è stato ancora messo alla prova della stanza dei bottoni, di lui si conoscono solo i comizi e le arringhe nei talk show.

A questa tipologia di imprenditori, prevalentemente espressione dei territori del Nord, Boccia ieri ha voluto inviare alcuni messaggi espliciti e alcune raccomandazioni implicite. Ha detto apertis verbis che l’Europa resta la stella polare per l’industrialismo italiano («il miglior luogo per fare impresa») e che persino la legge Fornero sulla previdenza non si deve assolutamente smontare. Inoltre non citando nella sua relazione né la flat tax né il tema immigrazione, argomenti molto cari alla Lega, ha fatto capire di non considerarle entrambe tra le priorità da inserire nell’agenda confindustriale.

Ne consegue assai facilmente che il presidente degli imprenditori confida non tanto nel successo dell’uno o dell’altro partito quanto nella tenuta di un quadro politico responsabile e che riesca a muoversi in sostanziale continuità con le scelte di fondo dei governi «delle riforme» Renzi e Gentiloni. Salvini permettendo, ovviamente.

Fatti i conti con la vicinissima scadenza elettorale Boccia ha lanciato da Verona un’altra operazione: passare da una Confindustria che giudica le scelte di politica economica solo ex post a un soggetto capace di dire la sua ex ante. E infatti ieri ha distribuito in sala un documento di ben 38 pagine che l’associazione ha intenzione di sottoporre al vaglio dei politici eletti subito dopo il 4 marzo. Frutto dell’elaborazione del neodirettore del Centro Studi, Andrea Montanino dirigente ex Mef ed ex Fmi, il documento è sicuramente ambizioso nei numeri e nella metodologia.

Si tratta nella sostanza di un piano europeo stile vecchio Delors di ben 250 miliardi di investimenti in 5 anni che dovrebbero avere come effetto quello di portare il Pil italiano in zona 2%, di creare la considerevole cifra di 1,8 milioni di posti di lavoro e addirittura di tagliare il rapporto debito/Pil del 21%.

Ci sarà tempo e modo per una valutazione più attenta ma le parole chiave del paper diffuso ieri sono sicuramente infrastrutture ed eurobond. L’emissione di titoli europei dovrebbe coprire più di un quinto del piano di investimenti, una cifra abbastanza vicina dovrebbe essere assicurata da una rigorosa spending review nazionale e 45 miliardi dovrebbero arrivare dal contrasto all’evasione. Riuscirà Boccia a farlo diventare davvero argomento di consultazione tra le forze politiche? Lo sapremo solo più avanti, intanto comunque l’elaborazione di Montanino consente alla Confindustria da qui al 4 marzo di passare la nottata.

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