11 gennaio 2018 - 11:00

Salario minimo, (quasi) tutti a favore Già previsto dal Jobs act, mai partito

La paga minima oraria è stata rilanciata dal Pd. La Lega è favorevole e anche il Movimento 5 Stelle ne aveva parlato. Il progetto e la marcia indietro del governo Renzi. Come funzionerebbe? I timori dei sindacati, che perderebbero potere contrattuale

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Il salario minimo sembra essere una delle poche proposte della campagna elettorale che trova un consenso trasversale tra i partiti. Il Pd lo ha messo in cima alla lista delle riforma da fare, come annunciato dal Tommaso Nannicini, responsabile del programma. La Lega, con Matteo Salvini, si dice favorevole. Almeno in passato anche il Movimento 5 stelle ne aveva parlato. Ma di cosa si tratta? E come potrebbe funzionare?

Le differenza rispetto al reddito minimo

Prima di tutto un chiarimento: il salario minimo non ha nulla a che vedere con il reddito minimo, cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle. Si tratta della soglia al di sotto della quale non si può andare quando si paga un dipendente. Si tratta, quindi, di una misura che riguarda solo chi lavora e non, come il reddito minimo, anche chi un lavoro non lo ha.

Il decreto (mancato) del Jobs act

Il salario minimo, in realtà, era previsto anche dal Jobs act, la riforma del lavoro varata dal governo Renzi. Era uno dei principi indicati nella legge delega ma per definirne il funzionamento e farlo entrare in vigore sarebbe stato necessario un successivo decreto del governo. Che non è stato mai emanato.

Solo nei settori non regolati da un contratto nazionale

Nelle intenzioni del governo di allora, e in quelle del Pd di adesso, il salario minimo dovrebbe essere fissato a circa 8 euro lordi l’ora, anche se Matteo Renzi ha parlato di 10 euro. Dovrebbe riguardare solo i settori che non sono già regolamentati da un contratto nazionale. In ogni caso sarebbe uno strumento che potrebbe togliere un po’ di potere contrattuale ai sindacati, visto che fisserebbe un paletto che di solito è il cuore di ogni trattativa. Anche per questo, quando il governo Renzi sembrava intenzionato a emanare il decreto che lo avrebbe fatto entrare in vigore, gli stessi sindacati furono molto critici.

C’è quasi in tutti gli altri Paesi. Ma con un sistema diverso

L’Italia è tra i pochissimi stati avanzati a non avere ancora il salario minimo. L’ultimo grande Paese europeo a introdurlo è stato la Germania, nel 2014, che lo ha fissato a 8,50 euro l’ora. In Francia è più alto, 9,60, in Grecia scende fino a 3,30. In Svizzera, come ricorda lo stesso Salvini, è da poco entrato in vigore con soglie diverse a seconda dei Cantoni. Rispetto alla gran parte di questi Paesi, però, in Italia c’è una differenza. Da noi, anche se negli ultimi anni le cose stanno cambiando, il grosso della contrattazione viene svolto ancora a livello nazionale. Negli altri Paesi la quota delle cosiddetta contrattazione decentrata, fatta a livello locale o in azienda, è molto più alta. Il salario minimo serve proprio a fissare un tetto comune al di sotto del quale non è possibile andare, quando buona parte della trattativa viene fatta a livello decentrato. Con una contrattazione nazionale forte avrebbe meno senso. A meno che non sia un modo per spianare la strada a una contrattazione sempre più decentrata anche in Italia.

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