Milano, 26 ottobre 2017 - 21:55

Sì al Rosatellum un passo avanti (con dei limiti)

L’approvazione in Senato della nuova legge elettorale: l’Italia ha varato quattro leggi elettorali in meno di 25 anni, e due – il Porcellum e l’Italicum - sono state giudicate in parte incostituzionali

shadow

Sembra passata un’era geologica da quando 37 milioni di italiani parteciparono al referendum sulla riforma elettorale: oltre l’82 per cento votò per abolire il vecchio sistema e passare al maggioritario. Un verdetto che la legge approvata ieri non rispetta, visto che i due terzi dei seggi sono assegnati con il proporzionale.

Stavolta non si vede né passione né indignazione nell’opinione pubblica, a parte qualche migliaio di grillini in piazza. Eppure la riforma elettorale rappresenta un punto di svolta nella vita di una democrazia. Ci sono Paesi, come gli Usa e il Regno Unito, che votano con lo stesso sistema da secoli. La Francia ha individuato da cinquant’anni un meccanismo che funziona, e infatti tranne un esperimento proporzionale (1986) l’ha sempre mantenuto. L’Italia ha varato quattro leggi elettorali in meno di 25 anni, e due – il Porcellum e l’Italicum - sono state giudicate in parte incostituzionali. Le norme uscite dalla sentenza della Consulta avrebbero provocato un’impasse, con due Camere elette con regole del tutto diverse. Per questo l’accordo vasto, sancito ieri dal voto del Senato, rappresenta un passo in avanti.

Evocare il fascismo sarebbe ridicolo se non fosse irrispettoso delle vittime del fascismo, quello vero. Restano valide obiezioni, sia nel metodo sia nel merito. Il ricorso alla fiducia, che restringe la discussione e rende la legge inemendabile, è oggettivamente una forzatura; né rasserena la consapevolezza che senza la fiducia il provvedimento non sarebbe passato. Le nuove regole consentono agli elettori di conoscere il nome degli eletti, ma non di sceglierli: questo vale sia per la quota proporzionale, sia per i collegi; che al Senato comprenderanno oltre mezzo milione di abitanti, vanificando la possibilità di un rapporto diretto tra i cittadini e i loro rappresentanti.

Comunque, un risultato politico lo si è ottenuto. Sia Napolitano sia Mattarella, ognuno a proprio modo, hanno espresso perplessità; ma il presidente emerito ha votato la legge, e il presidente in carica la firmerà. Verdini ha voluto apporre il proprio sigillo con un intervento che pareva pensato per creare imbarazzi e polemiche. I senatori leghisti sulla legge non hanno detto in aula neppure una parola. Renzi non ne è entusiasta ma evita l’umiliazione di ritrovarsi in un Parlamento con i grillini in maggioranza relativa. Bersani, entrato nella legislatura come leader del Pd, ne esce come capo di un partito di opposizione; mentre Berlusconi rientra in gioco. Grillo strepita ma sotto sotto non gli dispiace tornare a giocare con lo schema preferito: denunciare l’accordo di destra e sinistra unite contro di lui, e fare campagna nelle piazze.

Resta una grande incognita. La coalizione di centrodestra, in testa nei sondaggi, resterà unita nei prossimi anni? O è destinata a dividersi tra alleati della Merkel e amici di Marine Le Pen? I blocchi in competizione sono definiti dalle tradizionali categorie di destra e sinistra, o saranno ridisegnati sulla base dell’alternativa tra sistema e antisistema?

E’ possibile che le elezioni diano un verdetto definitivo e consegnino un mandato chiaro a governare. Ma questa legge sembra scritta apposta perché ogni capo porti in Parlamento i propri uomini, per poi giocarsi in proprio la partita.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT