12 marzo 2018 - 22:36

Centrodestra, vertice tra i leader Salvini: «No a dem nel governo»

Duello sui presidenti delle Camere. Da Forza Italia segnali al Pd. La Lega: tocca a noi

di Marco Cremonesi

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Il giorno del summit è arrivato. Questa sera Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini si incontreranno a Roma, con ogni probabilità a Palazzo Grazioli. Il leader leghista rientrerà in anticipo da Strasburgo per fare il primo punto dopo le elezioni con gli alleati di (possibile) governo. Parecchio ci sarà da discutere perché le posizioni, e le strategie, sembrano lontane. La giornata, ieri, inizia con l’intervista di Berlusconi al La Stampa. Con il leader azzurro che apre al Partito democratico parlando dell’ipotesi di nuove elezioni come di un «pessimo segnale per la democrazia». Dato che gli italiani hanno dato la maggioranza relativa al centrodestra, l’alleanza «ha il diritto ma soprattutto il dovere di guidare il prossimo governo». Ma nessuno tra coloro che hanno avuto un consenso importante «può pensare di non farsi carico della necessità che il Paese sia governato». Insomma, un governo di centrodestra sostenuto anche dai democratici. Su questa strada anche Renato Brunetta, che arriva a ipotizzare una presidenza della Camera per il Pd «nella linea di un percorso da costruire, di un appoggio esterno ad un prossimo governo». Matteo Salvini preme sul freno con tutti e due i piedi: «Gli italiani non ci hanno votato per riportare Renzi, Boschi e Delrio al governo. E neanche Gentiloni». Matteo Salvini lo dice e lo ripete, in pubblico e in privato: mai e poi mai ci sarà un governo con l’appoggio della Lega meno che nitido nella sua fisionomia. Di più: «Non andremo mai al governo se non potremo fare quello che vogliamo realizzare: cancellare la legge Fornero, controllare l’immigrazione clandestina e ridiscutere i trattati europei».

Il primo passaggio importante, l’elezione dei presidenti delle Camere, resta al momento impervio quanto il trovare i voti per il governo. Salvini ha già sostenuto la necessità che la guida delle Camere vada ai partiti che hanno vinto le elezioni, Lega e Movimento 5 Stelle. Gli stellati, al momento, sembrano non raccogliere. Resta il fatto che il nome del vice di Salvini, Giancarlo Giorgetti, continua a essere assai citato per la presidenza della Camera. Inutile chiedere all’interessato: «L’unico posto a cui punto — se la ride — è quello di Mauricio Pellegrino, l’allenatore della mia squadra, il Southampton». Spingendosi fino alla promessa: «In 8 giornate gli risollevo il campionato». Pretattica. Eppure, Silvio Berlusconi resta convinto che, alla fine, dopo il fallimento dei candidati dei partiti, sarà possibile convincere Salvini a un governo sostenuto dai dem. Si lancia in avanti un forzista: «Mattarella potrebbe offrire un nome per risolvere l’impasse». È a quel punto, sarebbe la scommessa di Berlusconi, che Salvini potrebbe forse accogliere il richiamo alla responsabilità. In caso contrario, il capo dello Stato non potrebbe che sciogliere le Camere. Di fatto, qualcuno già almanacca sulla possibile data di nuove elezioni.

Due le posizioni: «A ottobre o mai più». Ma persino «election day con le Europee del 2019». Ieri intanto, Salvini ha riunito il consiglio federale leghista. Il leader è stato descritto come «ecumenico» e pochissimo propenso ad alimentare polemiche interne. E infatti si è limitato a espellere Zoraide Chiozzini, la militante mantovana che aveva presentato ricorso contro la vittoria di Salvini al congresso del maggio scorso. Inoltre, ha prorogato il tesseramento fino al 30 giugno. Le nuove tessere per ora le vedranno soltanto i militanti del CentroSud: per quelli delle tradizionali regioni leghiste ci sarà solo un adesivo da applicare sulla tessera 2017. Via libera, invece, al cambio di nome dei Giovani Padani, contro cui si è scagliato con grande veemenza Umberto Bossi. Ma «Lega giovani» sarà. La notizia più curiosa della giornata riguarda l’ex sindaco di Adro (Brescia), Oscar Lancini. Potrebbe essere proprio lui a subentrare a Matteo Salvini al Parlamento europeo in quanto primo dei non eletti. Si tratta dell’amministratore ricordato perché aveva letteralmente tappezzato una scuola del suo paese con il «sole delle Alpi » leghista.

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