6 marzo 2018 - 18:40

Elezioni, dopo la sconfitta il Pd si scopre decisivo per formare un governo: ecco perché

Il capitale di parlamentari democratici diventa decisivo per la nascita di un esecutivo stabile. Dietro i numeri le ragioni delle aperture di M5S e Lega al centrosinistra

di Paolo Decrestina

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Ma il Pd non aveva perso le elezioni? Fa parte o no della parte politica arrivata non prima, non seconda, ma terza alle politiche? E allora perché tutti parlano di Pd? Perché il segretario e leader si è dimesso; perché il partito vive una crisi che ne mina l’unità dal profondo, vero. Ma la cosa più importante in questa fase politica incerta è che il capitale (pur non così ingente) dei democratici in parlamento è la chiave per la governabilità. Per fare un governo bisogna passare per il Nazareno. I motivi di questa sorta di rivoluzione copernicana, se solo si pensa al Bersani a caccia di seggi utili nel 2013, sono nella matematica e nella opportunità politica.

M5S-Pd: i numeri

Dei tanti numeri usciti nelle ultime ore, due in particolare ricorrono con più frequenza: 316 e 161, e cioè il numero di seggi rispettivamente di Camera e Senato che consentirebbero una autosufficienza politica. Numeri che in questo momento non ha nessuno in Parlamento, né il Movimento 5 Stelle nè il centrodestra a trazione leghista. A Montecitorio Di Maio si ferma a quota 221 seggi, a Palazzo Madama a 112. Salvini e gli altri a 264 deputati e 135 senatori. Ecco quindi che alla luce di questo gli «esigui» 112 seggi alla Camera e i 57 al Senato della coalizione del Partito democratico diventano “interessanti”. Si potrebbe ipotizzare una maggioranza parlamentare tra M5S e la coalizione a guida Pd, si arriverebbe a 356 deputati alla Camera e 174 senatori. Soprattutto a Montecitorio non sarebbe certo una maggioranza solidissima, ma un aiuto dei 14 deputati di Leu (già in campagna elettorale più aperti al sostegno ai Cinque Stelle) potrebbe anche consentire di governare.

Centrodestra-Pd: i numeri

E i parlamentari democratici farebbero molto comodo anche al centrodestra. A Salvini mancano 52 seggi alla Camera e 26 al Senato per raggiungere i numeri magici della governabilità. Basterebbero metà parlamentari dem che decidono di sostenere un governo di centrodestra in entrambe le Camere per dare il via alla legislatura. Matteo Salvini lo sa e non a caso martedì ha aperto le porte a quella parte politica che si rifà alla «tradizione di sinistra che non vota o che in alcuni casi guarda alla Lega».

Bastano i numeri?

I numeri sono chiari. Molto meno chiare sono le questioni puramente politiche che consentirebbero un governo «spurio». Luigi Di Maio in queste ore sta preparando un piano di circa 10 punti da presentare alle forze politiche per trovare i numeri che gli consentirebbero di avere una maggioranza in Parlamento e quindi plasmare a un governo Cinque Stelle. E sembra che i pentastellati guardino con molto interesse proprio al Partito Democratico, a patto che il partito sia «derenzizzato». D’altronde è proprio il segretario dimissionario, al momento, lo scoglio principale per un’ipotetica intesa M5S-dem in vista di un esecutivo. Matteo Renzi, che per tutta la campagna elettorato ha calcato la mano sulla differenza del partito da ogni forma di populismo, ha escluso qualsiasi ipotesi di sostegno a governi, lanciando il partito nell’orbita di una legislatura all’opposizione. Su questo tema, il partito, già frastornato dopo la batosta elettorale, si sta spaccando. Alla posizione intransigente del segretario si oppone quella di apertura di altri esponenti dem. Su tutti Sergio Chiamparino; «Non c’è nessun tabù da sfatare. Il partito deciderà in modo collegiale - e questa collegialità per me è l’elemento fondamentale - se e quali risposte dare», ha detto il presidente della Regione Piemonte. Un altro governatore, Michele Emiliano, va nella stessa direzione. «Il Paese non ha possibilità di attendere lunghe trattative, si deve sapere subito che il Pd sosterrà lo sforzo di governo del M5s». Più complicato lo scenario che vedrebbe una maggioranza centrodestra-centrosinistra. Anche se l’apertura di Salvini verso un certo tipo di «sinistra» dimostra l’interesse di quel «capitale parlamentare», il Pd, seppure dilaniato, dovrebbe appoggiare un governo guidato senza dubbio dalla Lega.

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