3 marzo 2018 - 09:35

Un governo in difesa
mette in fila le incognite

Il rischio del «salto nel buio» evocato non solo dai partiti governativi ma dallo stesso Silvio Berlusconi nella prospettiva di un governo tra Cinque stelle e Lega, è ben presente. Rimane da capire quanto riuscirà a fare breccia

di Massimo Franco

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È vero che le opposizioni tendono sempre a esaltarsi alla vigilia del voto; e a sopravvalutare il proprio peso, ben sapendo che per le forze di governo è più difficile vedere riconosciuti i propri meriti, grandi o piccoli. Ma stavolta si registra una sicurezza che sfiora la sicumera. Il centrosinistra, ma forse l’intera sinistra, si mostra sulla difensiva. E guarda al voto di domani con la preoccupazione di chi teme un’ondata di protesta così potente da tradursi davvero in voti e seggi. Gli appelli ineccepibili del premier Paolo Gentiloni a «tenerci stretti il sistema» che ci lega all’Europa, hanno un sottinteso allarmato.

L’impressione è che additare il populismo come fantasma da ricacciare indietro suoni come invito alla responsabilità. Ma in alcuni settori dell’elettorato il richiamo potrebbe funzionare meno che nel passato. Col termine «populismo» si tende a descrivere un fenomeno che va oltre i confini tradizionali della definizione; e dunque richiederebbe una maggiore elaborazione. Il rischio del «salto nel buio» evocato non solo dai partiti governativi ma dallo stesso Silvio Berlusconi nella prospettiva di un governo tra Movimento Cinque stelle e Lega, è ben presente. Rimane da capire quanto riuscirà a fare breccia.

Se si guarda a quanto accadde nel referendum sulla Costituzione del 4 dicembre del 2016, anche allora dominava la parola d’ordine del «salto nel buio». Il Pd insisteva sul pericolo che l’Italia finisse nel baratro dell’ingovernabilità se avessero vinto i No. Ma l’elettorato reagì diversamente. E dopo la caduta del governo di Matteo Renzi il Quirinale è riuscito a farne nascere un altro almeno non peggiore del precedente. La differenza è che aveva più o meno la stessa base parlamentare, mentre dopo il 4 marzo si potrebbero delineare equilibri del tutto diversi: una grande incognita. La domanda, tuttavia, rimane identica a quella di allora.

E cioè se e quanto l’appello alla responsabilità e la paura possono influenzare i comportamenti elettorali degli italiani; e se bastano a ribaltare una tendenza costante nei sondaggi . A ben vedere, le elezioni di domani mostrano all’attacco tutte le forze che al referendum istituzionale erano per il No: Forza Italia, Lega, Movimento Cinque Stelle, Fratelli d’Italia. Ci sono anche gli ex pd di Liberi e Uguali, che però appaiono risucchiati dalla crisi dell’intera sinistra. Eppure, l’impressione è che l’apparente vantaggio del cartello delle opposizioni non sia solo conseguenza della vittoria referendaria.

Sembra dipendere piuttosto dalla mancata analisi che della sconfitta hanno fatto il Pd e i suoi alleati. È stato il tentativo di rimozione di quel segnale inequivocabile dell’opinione pubblica, a marcare quanto è avvenuto dopo. E ora non si può escludere che le elezioni vengano declinate come un «secondo referendum»: sebbene a Palazzo Chigi ci sia un premier rassicurante come Gentiloni. Il fatto di non avere indicato per il «dopo» l’attuale capo del governo, gioca a favore della narrativa avversaria. E rischia di mettere in ombra i risultati ottenuti, esaltando solo una contraddizione che l’elettorato ha percepito.

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