6 marzo 2018 - 22:54

I «gentiloniani» e il governo di scopo

Le scelte possibili per il blocco con Minniti e Franceschini. Il premier sente e rassicura Merkel e Macron

di Monica Guerzoni

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Tranquillizzare le cancellerie europee, garantire che l’esito del voto non mette in discussione la stabilità dell’Italia. Con questo spirito Paolo Gentiloni ha sentito al telefono i principali leader politici e di governo della Ue, da Angela Merkel a Emmanuel Macron. «Un governo ci sarà» è il leitmotiv del presidente del Consiglio, convinto che la guida di Sergio Mattarella condurrà a una soluzione del rebus uscito dalle urne. L’asse tra Palazzo Chigi e il Quirinale è più che mai solido. I collaboratori di Gentiloni parlano di «lealtà assoluta» nei confronti di Mattarella, soprattutto dopo le critiche di Renzi sulla scelta di non portare il Paese a elezioni nel 2017. Attorno al premier, «fortemente irritato» per i giudizi del rottamatore sul suo governo, si è saldata un’area di dissenso verso il leader sconfitto che, da minoranza, lavora per diventare maggioranza nel Pd.

A margine del Consiglio dei ministri, ieri gli esponenti del governo si sono fermati a commentare l’«arroccamento» di Renzi al Nazareno e hanno registrato come una vittoria i primi effetti dell’assalto al bunker. «Matteo» potrebbe disertare la cruciale Direzione nazionale di lunedì e ha accettato che sia Maurizio Martina (e non lui) a tenere la relazione sulla débâcle. «Lo abbiamo cacciato» esultano nell’area di Andrea Orlando, dove la richiesta è un comitato di reggenza che traghetti il partito al congresso e dove la speranza di ricostruire il Pd si chiama Nicola Zingaretti. Tra i ministri che più stanno pressando Renzi per convincerlo a rendere effettive da subito le dimissioni c’è Graziano Delrio. Il responsabile delle Infrastrutture ha visto il segretario alle 9 e il chiarimento, raccontano, è stato piuttosto franco.

«Se vuoi lavorare per ricostruire il rapporto con la nostra gente devi mettere in atto un percorso chiaro e senza equivoci verso il congresso», ha insistito Delrio, la cui preoccupazione più grande è «lo strappo con gli elettori». Ma il Pd, ha avvertito il ministro che teme spaccature irreparabili, «deve restare unito». Da Dario Franceschini a Luigi Zanda, da Anna Finocchiaro a Marco Minniti, nessuno vuole fare un governo con i Cinque Stelle. Ma se Mattarella non troverà altra via d’uscita che un governo di scopo, limitato nel tempo e con (pochi) obiettivi chiari, per senso di responsabilità il blocco che guarda a Gentiloni non potrà sottrarsi. Diversa la posizione dei renziani. «Il nodo politico — per il presidente Matteo Orfini — è opposizione sì, opposizione no. Noi con i Cinque Stelle non ci stiamo, nemmeno in un governo di scopo». Se vuole sedersi al tavolo delle trattative, il fronte governativo deve prima liberarsi di Renzi. I pontieri sono al lavoro. Ma poiché gli oppositori interni non si fidano del condottiero disarcionato, si preparano alla guerra in direzione. Prima del voto i numeri nel «parlamentino» e nei gruppi parlamentari erano dalla parte di Renzi. Dopo l’offensiva dei ministri, gli equilibri potrebbero cambiare.

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