5 marzo 2018 - 08:06

M5S, i paletti di Beppe Grillo: «Non fare inciuci». L’idea: un referendum tra la base

Il fondatore è stato il grande assente al quartier generale del Movimento 5 stelle, a Roma. E guarda con apprensione al successo: teniamo duro, senza cambiare

di Alessandro Trocino

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ROMA — È confuso Beppe Grillo, la confusione dell’euforia e della paura. Perché il voto di questa notte segna la fine di un’era, la fine dei vaffa e della scapigliatura, dell’avventurismo e dello spontaneismo. Arrivati alle soglie del Palazzo, Grillo non è il più il centro del Movimento, ha lasciato le redini ai «ragazzi», è il convitato di pietra del successo di Luigi Di Maio. Non vede l’ora di assistere alla «spallata finale», ma ha anche paura che la sua creatura si snaturi. Per questo guarda alle prime mosse di Di Maio con apprensione. Saranno fondamentali per capire cosa diventerà il suo Movimento. A chi lo ha chiamato, pochi, molti meno di cinque anni fa, ha dato il suo incoraggiamento, ma con una postilla: «Bravi ragazzi, ma non mi fate inciuci proprio ora. Teniamo duro, non facciamoci cambiare».

Al seggio con la moglie. E Lou Reed

Al seggio dell’istituto agrario Marsano di Sant’Ilario, Grillo arriva con la Kia guidata dalla moglie Parvin. Occhiali verdi e il badge «L’Elevato», saluta il maresciallo, «Come va?». Si sofferma un attimo sul tabellone elettorale. Poi, dopo il voto, torna in macchina e fa partire a tutto volume Take walk on the wild side. Fatti un giro nel lato selvaggio, canta Lou Reed. Non è decisamente il lato scelto da Di Maio, che ieri sera ha organizzato una sala stampa lussuosa, con i drappeggi dell’Hotel Parco dei Principi di Roma, per incorniciare una scenografia sempre più studiata, sempre più glamour e autocelebrativa.

L’era geologica

Cinque anni per un Movimento come i 5 Stelle sono un’era geologica. Nel 2013 Grillo era al centro della rivoluzione. Tutto dipendeva da lui e da Gianroberto Casaleggio. Negli ultimi mesi, scomparso l’amico, non perfettamente in sintonia con il figlio Davide, si è messo volontariamente ai margini. Pochi giorni fa ha postato un video in cui annunciava la fine «dell’epoca dei vaffa». Ma non c’era nulla della gioia di una palingenesi rigeneratrice, dell’euforia per un mondo nuovo. Era un video malinconico, crepuscolare. E c’è da capirlo, perché l’epoca dei vaffa era il suo tempo, il tempo di un capopopolo arruffato e incontenibile alla testa di un manipolo di descamisados che cercava di insinuarsi nelle maglie dei partiti.

Il blog no logo

Finita un’epoca, ne arriva un’altra e Grillo sente di non farne più parte. Il suo balletto di passi indietro e di lato è diventato realtà con la nascita del nuovo blog, che segna la cesura anche semantica dal Movimento. Un blog no logo, senza M5S né Rousseau. I suoi interventi sono sempre più paradossali, ambigui, sconcertanti («Sto impazzendo»). Grillo, orfano di Gianroberto e dello slancio di un tempo, veste ormai i panni del padre nobile. Si fa chiamare «L’Elevato», ennesima gag che però non è innocente, come tutte le sue. Dice che lui è lì, guarda dall’alto le sue creature, le segue con amore ma anche con la severità del Dio veterotestamentario. Non è un caso l’avvertimento pre voto: «Sono il garante della biodegradabilità del Movimento». Il senso è chiaro: vi ho portato fino a qui, ora vi lascio andare con le vostre gambe, ma se mi tradite, in un attimo schiaccio il pulsante dell’autodistruzione. È anche per questo che nei vertici si pensa di usare, come arma di riserva, lo strumento del referendum, per decidere la strada da prendere, dando la parola alla base. Ma il tradimento è già in atto. Le sue «parole guerriere», evocate ancora l’altro giorno, sono finite in soffitta per dare spazio a un movimento che è ormai partito, con un leader in marsina ministeriale che vuole mandare messaggi di responsabilità al capo dello Stato. Al Parco dei Principi di Roma ci sono tutti, il grande assente è Grillo. Verrà nei prossimi giorni, assicurano dalla Comunicazione. Ma nessuno pronuncia il suo nome, il padre nobile è già nel passato. A patto che non decida di intervenire da «garante della biodegradabilità».

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