16 febbraio 2018 - 22:16

Verso scenari che evocano
un governo di quasi tutti

Comincia a farsi strada la consapevolezza che bisognerà trovare un qualche compromesso capace di includere e non di escludere pezzi del Paese importanti

di Massimo Franco

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Tortuosamente, tra mille cautele, comincia a fare capolino l’idea di un governo di unità nazionale. Forse è la conseguenza di sondaggi che non attribuiscono a nessuno la maggioranza alle elezioni del 4 marzo. Forse dipende dalla previsione che Pd e Forza Italia non avranno seggi sufficienti per saldare l’asse che gli avversari bollano come «inciucio Renzi-Berlusconi». O magari comincia a farsi strada la consapevolezza che bisognerà trovare un qualche compromesso capace di includere e non di escludere pezzi del Paese importanti; e cambiare schema.

L’espressione «unità nazionale» trasmette meglio delle «larghe intese» un’urgenza che costringerà tutti a rinunciare a qualcosa. Va registrata anche la risposta data ieri a Otto e Mezzo da Paolo Gentiloni, quando gli è stato chiesto se era ipotizzabile una grande coalizione col Movimento 5 Stelle. «Il M5S l’ha sempre esclusa e mi sembra facciano bene a escluderla», ha detto il premier. Porta chiusa in faccia a Luigi Di Maio, in apparenza: soprattutto perché finora i seguaci di Beppe Grillo hanno voluto autoescludersi.

Ma rimane l’incertezza su quanto potrà accadere dopo. Non a caso, analizzando le incognite del sistema elettorale, Gentiloni non esclude «sorprese». E ammette che «se nessuno sarà autosufficiente si troverà la strada per un governo stabile». È un rinvio obbligato della lettura del voto al capo dello Stato, Sergio Mattarella. E insieme la conferma di un’incertezza che rende plausibili tutti gli scenari: perfino i più impensabili. La sensazione è che non basterà ragionare in base ai paradigmi validi finora.

Si comincia invece a riflettere su altri scenari. E ci si chiede sotto voce se le inversioni a u delle ultime settimane da parte dei Cinque Stelle e di Di Maio su Europa e moneta unica, per citare le più vistose, non preludano a qualcosa di più. L’idea di fare un appello al Parlamento per trovare una «convergenza sui temi» subito dopo le elezioni è un segnale distensivo da parte di Di Maio, al di là del solito corredo polemico antisistema. Ed è la dimostrazione che la strategia del Movimento tradisce una gran voglia di entrare nel gioco delle maggioranze. Non è chiaro come, ma che la ricaduta sia quella risulta sempre più evidente.

A quel punto, il dilemma riguarderà sia gli avversari, sia gli stessi grillini. Si tratterà di accettare o meno l’inclusione di un Movimento considerato e dichiaratosi finora alternativo, in un simulacro di alleanza: soprattutto se si confermasse il primo partito. È un’eventualità ancora remota. Eppure, perfino nel Pd e dentro FI c’è chi ragiona sull’ipotesi di un dialogo trasversale da non indirizzare solo in una direzione. La parola decisiva toccherà agli elettori. Saranno loro ad abbozzare i nuovi equilibri.

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