Milano, 1 dicembre 2017 - 21:48

Flynn, l’ex generale che ora può inchiodare Trump

L’ex generale, 18 medaglie al valore militare, sarebbe pronto a scuotere la Casa Bianca pur di salvarsi

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Michael Flynn rischia cinque anni di galera. Con l’Fbi è meglio non scherzare, e soprattutto, non mentire. L’ex generale, 18 medaglie al valore militare, sarebbe pronto a trascinare formalmente nell’inchiesta il presidente Donald Trump e Jared Kushner, il suo genero-consigliere.

L’Fbi ha concesso il patteggiamento, evidentemente in cambio di una piena collaborazione. L’offerta sembra accettata. Flynn sostiene di non aver agito in maniera autonoma. Anzi avrebbe sempre chiesto e ottenuto l’avallo prima di qualcuno nel «team di transizione», prima di proseguire il dialogo con l’ambasciatore russo Serghey Kislyak. Una o forse più figure, non è perfettamente chiaro dalle carte. Le indiscrezioni dei media americani circoscrivono il perimetro: Kushner o il presidente stesso. E in effetti non sembrano esserci molte altre possibilità. Sicuramente da scartare il vice presidente Mike Pence, che anzi fu tenuto all’oscuro delle manovre di Flynn. Resta in sospeso la posizione dell’attuale ministro della Giustizia, Jeff Sessions, che ha incontrato anche lui un paio di volte Kislyak. Ma l’altro «pentito» di questa storia, il trentenne George Papadopoulos, ha raccontato all’Fbi che Sessions sarebbe stato contrario a intrecci troppo diretti con gli agenti di Mosca. Kushner, invece, ha seguito fin dall’inizio lo scenario mediorientale, offrendosi come mediatore tra Israele e Autorità palestinese.

In quei giorni di fine dicembre era già in collegamento stretto con Benjamin Nethanyahu, primo ministro di Israele e vecchio amico di famiglia dei Kushner. Nethanyahu fece il possibile per bloccare la risoluzione Onu che condannava i nuovi insediamenti israeliani nei Territori occupati. Ma nonostante l’impegno del team di Trump, la Russia votò a favore e gli Stati Uniti si astennero: la mozione fu approvata. Ora la Casa Bianca prende le distanze da Flynn, ma Trump cercò di proteggerlo fino all’ultimo dalle indagini dell’allora direttore dell’Fbi, James Comey, poi licenziato. L’ex generale si è avvicinato solo nel 2016 al tycoon newyorkese, ma con fervore travolgente.

Nato nel 1958 nel Rhode Island, sposato, due figli, ha speso trentatré anni nell’esercito. La sua specializzazione è l’intelligence, con esperienze in Afghanistan e, dal 2004 in Iran. Può sembrare curioso, ma la sua ascesa verticale comincia con il ciclo di Barack Obama. Tornato a Washington scala le posizioni dei servizi segreti militari, fino a diventare direttore della Defense Intelligence Agency nel 2012. Ma entra in urto con la struttura e poi con lo stesso Obama che nel 2014 lo destituisce. Lascia l’esercito e forma una società di consulenza, la Flynn Intelligence Group, ora citata più volte nelle carte di Mueller. Intreccia relazioni con la Russia, compare diverse volte, in veste di esperto, nei programmi della tv di Stato RT; partecipa a una serata di gala, sul finire del 2015, sedendo allo stesso tavolo di Vladimir Putin. Ottimi i rapporti, anche questi sotto inchiesta, con affaristi turchi vicini al governo di Recep Tayyip Erdogan. Nel 2016 coglie gli umori dell’opinione pubblica americana, lanciandosi, a sorpresa, in una furibonda campagna anti-Islam. Uno dei suoi tweet più ripresi: «E’ razionale avere paura dell’Islam». Scrive un libro insieme con Michael Ledeen, «The Field of Fight», sulla battaglia contro il «radicalismo islamico». Si fa notare da Trump che lo invita alla Convention repubblicana di Cleveland, nel luglio del 2016. Sul palco sembra il capo degli ultrà, guida il coro contro Hillary Clinton: «Lock her up», mettetela dentro. Insomma un profilo perfetto, nel mondo di Trump.

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