Milano, 24 novembre 2017 - 21:55

I sufi, forza di cambiamento nell’Islam: perché sono diventati
un bersaglio dei terroristi

La strage dei fedeli nella moschea del Sinai, in Egitto: non è la prima volta che luoghi di culto sufi sono l’obiettivo di jihadisti e radicali

Un’esibizione di dervisci rotanti sufi (Reuters) Un’esibizione di dervisci rotanti sufi (Reuters)
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L’assalto terroristico che nel Sinai ha fatto oltre duecento morti ha scelto una moschea frequentata da sufi. Non è la prima volta che luoghi di culto o tombe di sufi sono l’obiettivo di jihadisti e radicali. Il sufismo, la mistica islamica, è stato sovente l’oggetto di diffidenze o di critiche nella storia musulmana, ma mai come nell’età moderna e contemporanea è stato oggetto di attacchi di tale portata. Eppure la storia dell’Islam è segnata dalla religiosità sufi nella stessa misura della speculazione giuridica religiosa o dell’elaborazione di rituali e doveri formali. La fonte di ispirazione è la vita di Maometto con alcuni passi coranici.

Non solo leader politico e guerriero, il Profeta ha lasciato testimonianze di una propria riflessione spirituale e di una condotta morigerata e di rinuncia. Nel Corano alcuni passi lasciano arguire contenuti che vanno oltre la lettera della parola sacra e aprono il campo per un’esegesi spirituale. L’Islam degli obblighi religiosi e dell’Onnipotenza assoluta di Dio lasciava in fondo uno spazio aperto al desiderio personale di avvicinarsi a Dio e comprenderne il significato profondo. I primi sufi emersero così, fin dalle prime generazioni, affinando speculazioni intellettuali e pratiche concrete di astensione e di esercizio spirituale, in modo non molto diverso dalle omologhe esperienze buddiste o cristiane. Accanto ai dottori della legge e agli esegeti enciclopedici che hanno segnato la storia intellettuale dell’Islam, grandi figure di sufi hanno dato corpo al senso spirituale dell’Islam, come al-Hallaj, giustiziato nel X secolo per la sua blasfema proclamazione «Io sono il Vero, ovvero Dio», oppure Ibn al-‘Arabi, nato a Murcia nel XII secolo, che ha lasciato un’opera complessa di insuperate riflessioni intorno al concetto di Unicità dell’Essere.

Eppure il sufismo è stato, a partire dal XII secolo, soprattutto un grande fenomeno sociale che ha progressivamente cambiato il mondo islamico. In questo periodo si sono formate le prime confraternite, veri e propri ordini religiosi, nati intorno a pratiche collettive di recitazione o vincolate da altri rituali atti a consolidare legami tra allievi e maestri. Il loro successo fu tale che le confraternite fiorirono in ogni dove dell’Islam e contribuirono dal XIII secolo all’ulteriore espansione dell’Islam nell’Africa sub-sahariana e nelle isole malesi e indonesiane. L’Islam delle confraternite era sempre quello delle preghiere, del digiuno di Ramadan e degli altri doveri, ma con una devozione che voleva aggiungere ulteriore significato alla fede di ognuno. Vi è stato quindi un periodo, tra tardo Medioevo e inizi dell’era moderna, nel quale ogni musulmano in pratica apparteneva a una confraternita sufi e considerava recarsi con i confratelli a una moschea o presso una tomba di un grande maestro sufi del passato una parte imprescindibile della propria fede. L’irrompere della modernità e della penetrazione coloniale occidentale dal XIX secolo ha stravolto ogni cosa nel mondo islamico e anche le sorti e la percezione del sufismo.

Per gli Occidentali europei i rituali e le organizzazioni sufi erano pratiche popolari che il progresso doveva travolgere, oltre che un ostacolo concreto al controllo coloniale. Le élite musulmane che a queste visioni si ispirarono pensavano la stessa cosa e vedevano nei sufi solo arretratezza e irrazionalità. Dal XX secolo, con la nascita della Fratellanza islamica e del radicalismo, il sufismo è stato oggetto di ulteriori critiche e di attacchi feroci . Il Wahhabismo saudita e anche le varie forme di salafismo la pensano allo stesso modo: il sufismo esprime una sensibilità religiosa inconciliabile con lo stretto dettato delle tradizioni ed è solo frutto di distorsioni e di ricezioni di credenze e pratiche estranee al puro Islam. E da qui opposizione feroce e anche attacchi alle celebrazioni sufi dal Marocco al Caucaso, dal Pakistan all’Indonesia, dove l’Islam delle confraternite ha saputo dialogare con tradizioni locali e diffondere una visione della fede non racchiusa nel dato tradizionale. In ogni regione del mondo islamico sono quindi spesso i musulmani formati all’Islam salafita e i tradizionalisti i più accesi nemici giurati delle confraternite tradizionali e del sufismo in ogni sua espressione.

È in fondo la loro duttilità e adattabilità, seppure declinata nella fede in uno stesso unico Dio e nell’esempio del Profeta Maometto, che dà fastidio e che diventa l’obiettivo dei jihadisti e dei sostenitori di un’essenza formale unica dell’Islam, valida ovunque. L’attentato in Egitto lo testimonia e sottolinea fino a che punto divisioni interne e visioni diverse segnano tutto il mondo islamico. E il jihadismo, in tale realtà, ha come primo obiettivo ogni altro musulmano, come i sufi, portatore di una storia e di un’idea diversa di cosa sia l’Islam.

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