Milano, 25 novembre 2017 - 08:38

Egitto, raid di Al Sisi dopo l’attentato in moschea. Tra le vittime 27 bimbi

La risposta militare dopo l’attacco nel nord del Sinai, costato la vita a 305 persone di cui 27 bambini. Distrutte le auto dei jihadisti. «Terroristi avevano bandiera dell’Isis»

(Afp) (Afp)
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Dopo il feroce attentato contro la moschea sufi nel Sinai settentrionale, non è mancata la risposta militare di Al Sisi che aveva promesso di usare la «forza bruta». Jet dell’Aeronautica egiziana hanno «distrutto diversi veicoli» usati nell’attacco alla moschea di Rawda, un villaggio a 30 chilometri dalla città di Arish, nel nord del Sinai egiziano, che ha provocato almeno 305 morti di cui 27 bambini e 128 feriti secondo l’ultimo comunicato ufficiale della procura egiziana.

Nel raid sono state anche distrutte anche diverse casse di munizioni ed armi, ha riferito il portavoce delle forze armate egiziane, Tamer el-Refai. La moschea scelta per la strage è considerata roccaforte dei sufi, il ramo spirituale della galassia islamica, ritenuto eretico da parte degli estremisti dell’Isis e quindi combattuto con ferocia. È simbolico anche il giorno: il venerdì è festa e le moschee di tutto il mondo sono affollate per la preghiera di mezzogiorno, l’unica che comprende un sermone durante la settimana. E sono giorni ancora più importanti per la dottrina sufi perché precedono l’anniversario della nascita del profeta Maometto (579) che sarà celebrato giovedì prossimo. Per i seguaci di Al Baghdadi, che sono a maggioranza sunniti, è considerata un’eresia anche la celebrazione dell’anniversario.

Nel frattempo la procura egiziana ha reso noto come i terroristi avessero «la bandiera» dell’Isis. Lo riferisce un comunicato della Procura generale egiziana che cita il Dipartimento della sicurezza del Sinai settentrionale. I terroristi erano «in un numero tra 25 e 30» e sono arrivati «a bordo di cinque vetture 4x4», precisa fra l’altro la nota. Secondo le prime ricostruzioni il massacro è durato una ventina di minuti e i terroristi uccidevano al grido di«Allah è grande». «Tutti erano a terra e tenevano la testa bassa. Se alzavi la testa ti sparavano», ha detto un operaio di 38 anni, Mansour«All’inizio «la sparatoria era a caso», «poi è divenuta più deliberata: chiunque non erano sicuri fosse morto, o ancora respirava, lo uccidevano», ha detto ancora l’operaio. I testimoni hanno descritto di scene di panico, con persone saltate fuori dalla finestre del pianterreno dell’edificio. Alcune famiglie hanno perso tutti o la maggior parte dei parenti uomini.

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Ferocia, determinazione e resistenza

Nel febbraio scorso gli estremisti rapirono e decapitarono due esponenti del mondo sufi nel Sinai proprio con l’accusa di eresia. Dai primi racconti dei testimoni, interpellato dal giornale egiziano «Youm7», un commando di almeno quindici uomini arrivati a bordo di due auto sono entrati nella moschea durante la prima parte del sermone e hanno prima lanciato una bomba e poi hanno cominciato a sparare sulla folla in fuga. Nell’attacco sono state sterminate famiglie intere. Il commando ha poi incendiato le auto presenti affinché non venissero utilizzate per soccorrere i feriti e cercato anche di ostacolare l’arrivo delle ambulanze. Il responsabile del servizio di soccorso ha comunque assicurato che sul posto sono giunte almeno cinquanta ambulanze e che i feriti sono stati distribuiti su diversi ospedali della zona.

Il ministero dell’Interno egiziano ha aumentato lo stato d’allerta «al più alto livello in tutti i governatorati» egiziani dopo l’attacco alla moschea. Lo riferisce l’agenzia Mena citando «fonti della sicurezza».

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