«Si salpa da qui». Spiaggia deserta, bottiglie di plastica, vestiti abbandonati. K., lo chiamano il Topo del Mare: di giorno è guardia d’una banca di Tunisi, quattro notti al mese professione scafista, «ma mia moglie non sa che arrotondo così». Indica il mare che nella notte tra domenica e lunedì è tornato a uccidere. Laggiù, verso Sfax: un barcone con 70 persone che navigava nella bonaccia notturna, 54 km dall’arcipelago di Kerkenna, inspiegabilmente speronato da un guardacoste, 8 corpi recuperati, una ventina i dispersi. «Di solito queste cose le fa la marina di Malta…», s’indigna il palestrato K., 33 anni, la cicatrice sulla fronte souvenir d’un carcere francese, il nome di mamma tatuato: «Gl’italiani non speronano. Ed è strano che la nostra polizia abbia combinato questo disastro: di solito la paghiamo prima…». La pagate? «Certo! 10 euro per ogni persona portata, basta darli a chi pattuglia la costa: in una notte, si fa lo stipendio d’un mese». Erano anni che non si partiva più dalla Tunisia… «Ma ora l’Italia ha chiuso le rotte libiche! La differenza è che sui nostri barconi non ci sono molti “africani”: da qui costa di più, usiamo solo barche sicure, e la maggior parte dei miei clienti sono tunisini». E i guardacoste vanno ad affondare poveretti che potrebbero essere loro parenti? «Se fanno a me una cosa del ge- nere, vado a cercarli uno per uno…».
Tunisia, si riapre la via. La strage di domenica notte non è per la solita bagnarola libica in avaria. «È perché — spiega una fonte di sicurezza europea — al governo tunisino abbiamo detto che bisogna fare qualcosa…». Ieri c’è stato un chiarimento al Viminale, s’è rimproverato al governo Chahed l’indulto di luglio che ha messo fuori 1.600 detenuti: Anis Hannachi, il fratello del killer di Marsiglia, l’hanno preso domenica a Ferrara ed era arrivato col barcone. Nell’ultimo mese sono salpati da Cap Bon e da Sfax e da Zarzis tanti migranti quanti da gennaio ad agosto. Viaggi fai-da-te, microgang di non più di tre scafisti e spesso microtrasporti d’una ventina di persone al massimo, tariffe variate se si va a Lampedusa (1.700 euro) o in Sicilia (2.500). Funziona così: i tunisini contattano sui satellitari Thuraya lo scafista (sms in gergo: nehok el sabkha, attraversiamo le saline) e raggiungono col buio il monte dietro Houaria o le scogliere di Kerkenna. Gli stranieri arrivano sui 4x4 dei contrabbandieri libici di Ben Guerdane o per i monti algerini della guerriglia jihadista: «Mi faccio dare i documenti e li tengo in una casa qualche giorno — spiega K. —, finché i miei amici poliziotti non li controllano al pc. Non voglio grane, non prendo i salafiti nemmeno se mi offrono 10mila euro: porti un jihadista e rischi l’associazione terroristica, stai dentro dieci anni…». Una volta viste le fedine, si va: «Mettiamo i clandestini sui pescherecci, come se fossero equipaggio. O se no usiamo barche private, comprate apposta». K. si sente un professionista: «Mica siamo libici, noi usiamo roba sicura, che non affonda. È solo per questo che ci hanno lasciato fare soldi in pace». Fino a domenica notte, forse.