Milano, 10 ottobre 2017 - 21:37

È la strage degli ippopotami
«Oltre cento uccisi dall’antrace»

L’infezione colpisce un parco della Namibia: «Colpa dell’acqua troppo bassa»

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L’immagine classica che abbiamo di loro: il testone affiorante, le narici fuori e il grosso del corpo (tre tonnellate di grasso e muscoli) nascosto sotto la superficie. Perciò fanno così impressione le foto che arrivano dal lontanissimo Bwabwata National Park nella lontana Namibia: ippopotami stesi sulla schiena nell’acqua bassa del fiume, rigidi e gonfi con quelle zampone in aria, innaturali come un’installazione di Damien Hirst.

Immagini di una strage, forse meno drammatica di altre perché, per una volta, il colpevole non è l’uomo: gli oltre cento ippopotami trovati morti in uno spicchio di Namibia chiamato Dito di Caprivi nell’ultima settimana sono stati uccisi dall’antrace. Batteri che colpiscono gli erbivori in varie parti del mondo, dalle renne siberiane ai coccodrilli del Sudafrica. A settembre sono morti quaranta «cavalli di fiume» in un parco della Tanzania. Ora tocca ai cugini che vivono in un angolo di paradiso incastonato fra Angola e Botswana. Il Bwabwata è uno dei cinque parchi nazionali nel Nord-Est della Namibia (40 km per 190 di larghezza). Il nome, in lingua locale, rimanda al «suono che fa l’acqua gorgogliante». Gli elefanti ci passano nei loro spostamenti pendolari verso il Chobe. Ci vivono leoni, iene, leopardi, erbivori e uccelli. Un’area fra l’Okawango e il Kwando River, che ha ripreso vita dopo essere stata per decenni campo di battaglia fra Stati vicini e terreno di caccia per bracconieri. Il direttore del parco, Apollinaris Kannyinga, conferma la moria degli ippopotami alla stampa: «Non è la prima volta. Epidemie come questa avvengono quando il livello dell’acqua è così basso». Il batterio dell’antrace (detto anche carbonchio) può restare nascosto nel terreno per anni con le sue spore letali. Non si propaga facilmente. Penetra nel corpo degli animali attraverso abrasioni o ferite. Alcuni anni fa 120 ippopotami morirono per lo stesso killer in Uganda. La siccità riduce lo spazio vitale degli ippopotami (che passano in immersione 16 ore su 24) costringendoli a stare più vicini e aumentando così il rischio di contaminazione. Secondo le autorità namibiane, coccodrilli e avvoltoi banchettano sulle carcasse dei giganti di fiume, e questo potrebbe allargare la lista degli animali colpiti. Le comunità locali (nel parco vivono 5.500 persone) sono state invitate a non utilizzare la carne degli ippopotami morti. Per secoli, fino all’Ottocento, le infezioni di antrace hanno ucciso migliaia di animali (ma anche di umani). Nel corso del Novecento diversi Stati l’hanno «coltivata» come arma batteriologica. Dopo il 2001, negli Usa tenne banco il caso delle lettere contenenti tracce di antrace, recapitate a senatori e giornalisti. Le vittime furono cinque. Si scoprì poi che il colpevole era un esperto di bioterrorismo morto suicida. Ma questa è un’altra storia. Gli ippopotami del Bwabwata, dicono gli zoologi, si riprenderanno. I loro principali nemici non sono certo le spore di carbonchio. Ma l’avanzata degli uomini.

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