Milano, 15 ottobre 2017 - 08:19

Raqqa assediata, le ultime ore di battaglia. «Jihadisti pronti a lasciare la capitale Isis»

Resa di centinaia di miliziani, i capi locali trattano per l’evacuazione. «Evitiamo la strage»

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Alla fine anche Raqqa sta cadendo. L’Isis è sul punto di perdere la capitale storica che dalla Siria nord-orientale aveva diffuso la sua influenza nelle limitrofe regioni sunnite irachene. Particolarmente indicativo, tra le notizie confuse e spesso contraddittorie che giungono dal campo di battaglia, è il fatto che decine se non centinaia di militanti jihadisti, il fior fiore dei battaglioni di volontari agli ordini del «Califfo» Abu Bakr Al Baghdadi, starebbero alzando le mani per consegnarsi alle milizie curde siriane. Nelle ultime ore almeno cento di loro, pare tutti siriani, si sarebbero arresi ai capi tribali locali, che stanno cercando di raggiungere un accordo per l’evacuazione pacifica dal cuore della città e chiedono la collaborazione americana. «Stiamo lavorando per definire un piano che eviti il bagno di sangue», dichiara Omar Alloush, esponente del Consiglio municipale locale.

Anche se atteso ormai da mesi, lo sbando dell’Isis a Raqqa rappresenta un passaggio fondamentale per lo smantellamento della sua dimensione territoriale perché mette i miliziani con le spalle alle muro. La caduta della capitale segue altre sconfitte, come la battaglia per Mosul terminata all’inizio dello scorso luglio dopo nove mesi di combattimenti feroci. A renderla possibile, l’avanzata dell’esercito siriano sostenuto da Russia e milizie sciite pro-iraniane a nord-est di Aleppo. Raqqa sin dai primi mesi del 2014 era diventata infatti il cuore amministrativo e militare dell’Isis. Qui stavano i suoi massimi dirigenti, i centri di comando e reclutamento, gli uffici della propaganda, compresi alcuni tra i mandanti degli attacchi in Europa. Da qui soprattutto passavano i volontari stranieri, inclusi i tanti ceceni, francesi, tunisini, libici, algerini, egiziani, afghani. Si calcola che al massimo della sua espansione, tra la fine del 2014 e il 2015, l’Isis abbia contato tra i suoi ranghi oltre 40 mila jihadisti arrivati dall’estero: i più ideologizzati, determinati, incattiviti e pronti a farsi «martiri» in nome della loro interpretazione fanatica dell’Islam.

Non a caso, oggi sono ancora loro a costituire il fulcro degli ultimi gruppi di resistenza armata nella cittadella medioevale ridotta in cumuli di macerie soprattutto dai continui bombardamenti americani, che nell’intera area urbana di Raqqa sembra abbiano causato centinaia di «vittime collaterali». Proprio gli stranieri in maggioranza rifiutano di consegnarsi e combattono con armi leggere, mine e cecchini. «La battaglia sta terminando. Ma gli scontri potrebbero continuare ancora per qualche tempo», dichiarano i portavoce Usa, in parte smentendo l’euforia delle forze curde siriane, che invece danno come «imminente» la presa «totale» della città.
Almeno dall’inizio dell’estate, quando le forze curde siriane aiutate dagli Usa hanno ufficialmente iniziato l’assedio finale, la struttura amministrativa dell’Isis ha di fatto cessato di esistere. Progressivamente sono stati tagliati l’energia elettrica, i servizi medici, la benzina, la distribuzione pubblica dell’acqua. Oggi i pochi civili rimasti (si calcola circa 25 mila sugli originali quasi 200 mila) lamentano che le scarne strutture sanitarie funzionanti sono riservate esclusivamente alla cura dei combattenti feriti. Ma non va dimenticato che, come del resto si rivelò anche a Mosul, molti tra i civili locali sono in realtà legati a filo doppio al «Califfato». L’Isis resta per loro un movimento che li difende dalle discriminazioni del regime siriano alawita e dei gruppi armati sciiti.

Nel frattempo l’Isis perde terreno lungo tutta la vallata dell’Eufrate sunnita. L’esercito siriano ha catturato nelle ultime ore la cittadina di Mayadin. Quello iracheno sta prendendo Al Qaim e l’importante punto di passaggio sulla frontiera con la Siria pochi chilometri più a nord.

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