Milano, 17 ottobre 2017 - 00:42

La morte di Daphne Caruana Galizia: la lunga scia di sangue a Malta

La fine della giornalista blogger uccisa con un’autobomba, rientra in uno scenario tetro che va oltre i confini dell’isola

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A Malta usano le bombe e le pistole. Per eliminare gli avversari, far fuori i concorrenti in affari poco puliti e silenziare i giornalisti come Daphne Caruana Galizia. Purtroppo è così: la sua fine rientra in uno scenario tetro che va oltre i confini dell’isola. La blogger ha svolto un ruolo centrale nelle rivelazioni sui Panama Papers, la grande manovra di evasione fiscale che ha coinvolto personalità politiche, gente dello spettacolo, sportivi. Una gigantesca Tortuga per aggirare le tasse nell’Unione Europea. Tanti gli stranieri, ma anche i locali apparsi nei documenti. Daphne aveva lanciato accuse dure a Michelle, la moglie del premier maltese Joseph Muscat, innescando una crisi politica profonda con i sospetti di rapporti/tangenti che portavano in Azerbaigian.

Aveva aperto un fronte anche con il leader del partito nazionalista Adrian Delia. Insieme al figlio si era fatta molti nemici, alcuni noti e altri più defilati, compresi dei trafficanti di droga collusi con il sistema e riciclatori. Una missione che aveva provocato minacce prese sul serio della vittima: infatti le aveva segnalate alla polizia, l’ultima volta 15 giorni fa. Erano (e restano) dossier imbarazzanti per i quali c’era qualcuno pronto ad uccidere, a lanciare contratti di morte, a confezionare personalmente trappole letali. Apparati infilati sotto una vettura e attivati a distanza con il cellulare, tecnica terroristica utilizzata anche dai mafiosi e da sicari a pagamento, spesso comparsi in questo avamposto mediterraneo, luogo di vacanze un po’ troppo vicino a tanti «fuochi», snodo per flussi non sempre cristallini verso il Nord Africa.

Era il 26 ottobre del 1995 quando due 007 ammazzano Fathi Shikaki, il leader della Jihad islamica palestinese. Ricorrono a un modus operandi che tornerà altre volte a Malta: piombano sul target in moto, sparano sei colpi e se ne vanno. Un’azione eclatante, non certo l’unica. Passa oltre un decennio e i killer, copiando questa tecnica, liquidano nell’aprile del 2008 Raymond Agius, sorpreso all’interno di un bar. Una cronologia dell’Independent lo definisce il primo episodio della catena di sangue. L’anno dopo trovano in una fornace il corpo di un giovane, in testa gli hanno piantato venti chiodi. Il 23 novembre 2010 è ancora un motociclista a freddare Joe Baldacchino, un imprenditore coinvolto in molte vertenze legali. È un ordigno, invece, a deflagrare nel novembre 2011 sotto l’auto di Keith Kalea, esponente del racket della prostituzione. Il primo ottobre del 2012 Paul Degrabriele esce di casa e nota qualcosa di sospetto nel suo pick up. Scoprono che si tratta di una trappola. La fine è solo rimandata a maggio quando un assassino lo elimina usando un revolver.

In apparenza le autorità faticano a trovare i colpevoli, ci pensano i criminali a regolare il conto. Nel febbraio 2014 rispunta la calibro 9: mette fine alla vita di «il-Hakka», ritenuto responsabile della fabbricazione di molte bombe impiegate negli anni 80. Una professione, quella dell’artificiere della mala, che proseguirà. Lo dimostrano l’uccisione di Martin Cachia, dilaniato all’inizio del 2016 e accusato di attività illecite — contrabbando con la Libia — il ferimento del titolare di un’impresa nell’esplosione del suo van, la morte del businessman John Camilleri incenerito a bordo di un Suv . Sequenza che ha preceduto il sacrificio di Daphne che, nel suo ultimo post, aveva scritto: «Ci sono criminali ovunque, la situazione è disperata». Sapeva che erano ormai vicini.

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