3 gennaio 2018 - 23:00

«In Iran la sedizione è sconfitta»: il pugno del regime sulle province

I morti si concentrano nelle zone periferiche dove sono intervenuti i Pasdaran

Un poster mostra Hamzeh Lashni Zand, ucciso a Dorud, nella provincia del Lorestan Un poster mostra Hamzeh Lashni Zand, ucciso a Dorud, nella provincia del Lorestan
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Dopo una settimana di proteste in Iran, il regime annuncia che la «sedizione» è finita, mentre migliaia di persone sfilano in piazza inneggiando alla Guida Suprema Ali Khamenei. I Guardiani della Rivoluzione (Pasdaran), le forze armate fedeli a Khamenei, sono intervenuti in tre province — Isfahan, Lorestan, Hamadan — a reprimere la rivolta dei «mostazafin», i miserabili delle classi medio-basse, contro il potere e i privilegi delle élite. Proprio in quelle tre province, secondo la tv di Stato, sono stati uccisi 19 dei 21 manifestanti confermati dalle autorità (ci sarebbero in più 2 o 5 agenti). Le cause per lo più non sono specificate e nemmeno i nomi, tranne in qualche caso, come quello di Armin Sadeghi, 13 anni. «Gli ho chiesto, Armin, hai esami domani? Mi sono girato e ho visto la sua testa china verso il suolo», ha detto in tv il padre del ragazzino nella città di Khomeini Shahr, vago sull’origine di quel colpo di fucile.

La rivolta dei «mostazafin»

Difficile confermare se le proteste siano finite come dicono i Guardiani. I video continuano a girare sui social media, ma non è chiaro quel che accade nelle strade. In piazza si è riversata la rabbia dei «provinciali» considerati per decenni la spina dorsale del regime khomeinista perché conservatori e pii, ma negli ultimi anni costretti a muoversi in città dove non trovano lavoro, mentre tv satellitare e telefonini rivelano le profonde diseguaglianze di una società dove c’è chi gira in Maserati mentre un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà. La rabbia è diretta a Khamenei («Il popolo chiede l’elemosina e la Guida Suprema agisce come fosse Dio», gridava la folla a Hamadan) ma anche al governo Rouhani, che non riesce a risollevare davvero l’economia: pagine segrete del nuovo bilancio rivelate online alla vigilia delle proteste — spiega il New York Times — hanno mostrato l’aumento del budget per i Guardiani della rivoluzione (fino all’equivalente di 11 miliardi di dollari) e per le fondazioni religiose, mentre si prevede di tagliare i sussidi per milioni di persone e l’istruzione pubblica. Nei soliti giochi di potere tra conservatori da una parte e moderati/riformisti dall’altra, i primi hanno cercato di cavalcare le proteste ai danni del governo, ma hanno fatto male i calcoli: la gente è furiosa con tutti.

Spazio in carcere per i nuovi arrivi

Teheran non è l’epicentro di queste rivolte senza leader e in parte violente (alcuni video mostrano scontri e manifestanti che danneggiano beni pubblici, oltre alla brutalità degli agenti), ma una parte della società civile delle grandi città — incluse 100 attiviste per i diritti delle donne, alcuni sindacati e gruppi curdi — appoggiano i manifestanti. Sono almeno 450 gli arresti confermati nella capitale. Decine sono studenti, tra cui Leila Hassanzadeh (Scienze sociali all’Università di Teheran), nota per l’attivismo sociale, e quattro appartenenti a una minoranza sufi considerata eretica dal regime. Trecentocinquanta prigionieri politici da tempo rinchiusi nelle prigioni di Evin e Rajaee Shahr sarebbero stati trasferiti in altri settori per far spazio ai nuovi arrivati. Per il capo dei Guardiani, Mohammad Ali Jafari, i rivoltosi erano «15.000 in tutto l’Iran»: agenti degli Usa e di gruppi terroristici e pro-monarchici. Tra loro un «cittadino europeo addestrato dai servizi di intelligence» accusato di aver guidato le rivolte nell’Iran occidentale.

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