5 gennaio 2018 - 21:22

Il futuro dell’Iran, «La crisi scoppierà alla morte della Guida Suprema»

Roger Cohen, columnist del New York Times, sottolinea come la successione a Khamenei sarà un momento problematico e delicato

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«Confesso di aver ritwittato Trump sull’Iran», ha scritto sul New York Times Roger Cohen. Una sorpresa per tutti (lui incluso): l’editorialista, inviato a Teheran durante le proteste del 2009, è infatti ben lontano dalla politica dell’attuale Casa Bianca verso la Repubblica Islamica.

Lei sostiene che Trump ha fatto bene ad appoggiare le proteste in Iran, ma anche d’essere contrario a nuove sanzioni (che l’amministrazione sta valutando) e convinto che l’accordo sul nucleare deve restare. Come dovrebbe la Casa Bianca far pressione sul regime?

«Non credo nelle sanzioni, che avvantaggiano solo i Guardiani della Rivoluzione, e certo non sono favorevole a un intervento militare. Ma penso che il silenzio dell’amministrazione Obama nel 2009 fu dannoso. È importante che l’America prenda posizione con dichiarazioni forti e chiare coordinate con gli alleati, in difesa di chi cerca la libertà contro regimi oppressivi. Una misura concreta poi è far pressione sulle aziende europee per evitare che vendano al regime tecnologie per bloccare applicazioni come Telegram, ma è difficile, anche i cinesi sono coinvolti».

Le parole di Trump non aiutano il regime a sostenere che le proteste sono frutto di un complotto straniero? Teheran accusa la Cia.

«Quella è la replica standard, anche altrove, come in Russia. Queste proteste si sono diffuse in città provinciali remote. Per quanto la Cia sia una fantastica e influente organizzazione — la mia è ironia — ho qualche dubbio che sia in grado di mobilitare i lavoratori nell’estremo Ovest o Est dell’Iran. Nel Paese ci sono gravi problemi di inflazione e disoccupazione irrisolti dalla Repubblica Islamica. Quel che è problematico è la sua stessa struttura: la parvenza quasi-democratica delle istituzioni, ai vertici delle quale c’è una figura, Khamenei, che fa le veci dell’Imam Nascosto scomparso più di mille anni fa».

Lei scrive che la vera crisi del regime arriverà quando si dovrà scegliere il successore di Khamenei. Perché?

«Khamenei ha 78 anni e pare sia malato. I Guardiani della Rivoluzione e le fondazioni religiose sono organizzazioni potenti ma l’economia è inefficiente, la corruzione diffusa, la rivoluzione ha perso ogni attrattiva ideologica per la maggior parte degli iraniani, che non vogliono essere uno Stato-paria e desiderano rapporti con l’Occidente. La situazione fu sul filo del rasoio per un paio di giorni nel 2009 ma oggi non mi pare sia così. La successione a Khamenei sarà un momento problematico e delicato».

Come giudica la cautela dell’Ue davanti alle proteste?

«Mogherini ha puntato molto sul presidente Rouhani e sul ministro degli Esteri Zarif, e quest’ultimo sa essere molto persuasivo. Il grande dilemma della Repubblica Islamica è che è una bestia a più teste: Zarif e la sua «scuola» sono una di esse; un altro centro di potere sono il generale Qassem Soleimani e il comando dei Guardiani con le operazioni pro-Assad in Siria e pro-Hezbollah in Libano. E questo altro Iran Zarif lo accetta: lui direbbe che anche l’America è una bestia a più teste, con un leader che prima vieta il visto agli iraniani e poi parla in loro favore. Mogherini vuol vedere gli sviluppi...»

E magari l’Ue non vuole schierarsi solo con i sauditi?

«Già, e credo che in questo Trump sia andato troppo oltre. Il ribilanciamento di Obama tra Riad e Teheran fu giusto. Ma è indubbio che la Repubblica Islamica dalle tante teste sia anche un regime autocratico brutale contro i suoi coraggiosi cittadini che cercano di cambiare il sistema, nel 2009 come oggi. E a mio giudizio i valori europei ci chiamano a prendere posizione».

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