17 gennaio 2018 - 10:35

Arrestato ex agente Cia: ha venduto la rete dei collaboratori degli 007 in Cina

L’Fbi ha identificato Jerry Chun Shing Lee come l’uomo che, tra il 1994 e il 2007, aveva lavorato da infiltrato come spia per Pechino

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Tra il 2010 e il 2012 la Cia in Cina ha perso una ventina di agenti e informatori. Presi uno a uno, alcuni giustiziati. Uno di loro addirittura, sarebbe stato fucilato in pubblico nel cortile di un palazzo governativo di Pechino per servire da esempio. Dopo anni di indagini l’Fbi ha arrestato la talpa: un ex funzionario di Langley (il quartier generale dell’Agenzia alle porte di Washington) che li avrebbe traditi passando i loro nomi al controspionaggio di Pechino.

Il caso è stato rivelato sul New York Times di oggi. Il sospetto è Jerry Chun Shing Lee, 53 anni, cinese naturalizzato americano che dopo aver servito nell’esercito era passato alla Cia e aveva lavorato (spiato) tra il 1994 e il 2007 anche a Pechino. Ma si era dimesso nel 2007 perché la sua carriera era finita in un binario morto e voleva vendicarsi. Quando le spie americane della rete cinese cominciarono a scomparire una alla volta, nel 2010, Jerry viveva a Hong Kong dove lavorava per una famosa casa d’aste. La Cia cominciò un’indagine interna, sospettò del suo ex uomo, lo convinse a tornare negli Stati Uniti offrendogli di riprendere il servizio con una promozione, scoprì nei suoi bagagli lasciati in albergo che aveva mantenuto un’agendina con nomi in codice, vere identità e numeri di telefono segreti di tutti gli agenti arrestati. Sembrava una prova schiacciante, ma a quanto pare, a quanto sostengono le fonti del New York Times, gli investigatori della Cia ebbero paura di ammettere l’esistenza del traditore per non causare imbarazzo e demoralizzare il personale. A Langley fu scelta la versione secondo cui i cinesi avrebbero fatto tutto da soli, con intercettazioni e hackeraggio. L’Fbi invece non mollò la pista e ora ha messo le mani su Jerry.

Jerry Chun Shing Lee, noto anche come Zhen Cheng Li, aveva cominciato la sua carriera alla Cia come “case officer” e conservò dopo aver lasciato il servizio il nullaosta top secret, firmando impegni a non rivelare mai particolari sulla sua attività. Le rivelazioni del New York Times aprono un vespaio, perché ancora nel 2015 la Cia ha dovuto di nuovo richiamare tutti i suoi uomini da Pechino, scoperti dal controspionaggio comunista. Non c’è prova che li avesse venduti nuovamente il traditore identificato ora. Quando la storia dell’esecuzione della dozzina di spie americane saltò fuori per la prima volta, a maggio dell’anno scorso sempre sul Nyt, i cinesi risposero che i giornalisti yankee leggono troppi romanzi e che il particolare della fucilazione nel cortile di un palazzo di uffici era assolutamente ridicolo, queste cose si fanno in segreto. Ma al tempo stesso i cinesi osservarono che «se il resto della ricostruzione fosse vera, sarebbe stato un grande e legittimo successo del nostro controspionaggio».

Questo dossier inquietante si aggiunge a quella di ieri su Wendi Deng, la ex moglie cinese di Rupert Murdoch (che secondo il Wall Street Journal si sarebbe lavorata il genero di Donald Trump, Jared Kushner, per promuovere un progetto edilizio a Washington) e fa sembrare il caso della bella Wendi supposta Mata Hari un pettegolezzo rosa. Ma a Pechino non l’hanno presa bene: oggi dicono che a Washington sono in preda a «Sinofobia» e cercano nemici cinesi per coprire le lotte di potere che hanno screditato la Casa Bianca.

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