8 marzo 2018 - 21:56

La riscossa di Navarro: il fustigatore della Cina ora impone la sua linea

Ex democratico (mai eletto) e neoprotezionista: è il regista della stretta sui dazi.
Il presidente ha scoperto un suo libro su Amazon e l’ha chiamato nella squadra

di Giuseppe Sarcina, corrispondente da Washington

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È il momento di Peter Navarro. Non sappiamo se anche per lui saranno solo «15 minuti di celebrità», come è successo con una serie infinita di consiglieri «strategici» e «decisivi» e poi improvvisamente spariti, cancellati dalla Casa Bianca. Da Steve Bannon all’ultimo della lista, l’ex Goldman Sachs Gary Cohn. Comunque, adesso tocca al sessantottenne Navarro. È lui il regista della stretta sui dazi, insieme con il segretario al Commercio, il finanziere miliardario Wilbur Ross e l’altro «advisor» dello Studio Ovale, Robert Lighthizer, vice ministro nel governo di Ronald Reagan.

Cresciuto in Florida, ha studiato economia ad Harvard e insegnato Politiche pubbliche all’Università della California per vent’anni. Per tutta la vita è stato considerato un eccentrico outsider dai suoi colleghi più famosi. Nella marginalità ha coltivato sentimenti astiosi, profusi con abbondanza nei suoi lavori, tutti semisconosciuti tranne uno: Death by China: Confronting the Dragon-A Global call to action, scritto nel 2011. La tesi: Pechino rappresenta una minaccia «mortale» per l’economia degli Stati Uniti. Il governo cinese viola sistematicamente le regole degli scambi mondiali; il «dumping», l’esportazione sotto costo, è la norma; manipola la moneta; sovvenziona le imprese nazionali e ostacola quelle straniere. Conclusione: «Le nostre aziende non possono tenere il passo, perché non competono con le concorrenti cinesi, ma con il partito comunista cinese».

La leggenda racconta che Trump lo abbia scoperto per caso. O meglio che nel 2016 abbia dato incarico al genero Jared Kushner di «fare qualche ricerca su Cina e Stati Uniti». Il marito di Ivanka si è messo al computer e ha trovato Morte dalla Cina negli «scaffali» di Amazon. È improbabile che il genero abbia letto tutte e 300 le pagine del volume, ma certamente ha telefonato all’autore. E così Navarro, forse un po’ incredulo, si è ritrovato nel team di Donald Trump, sponda repubblicana. Nessuno ha fatto caso al suo passato da democratico. Negli anni Novanta si è candidato per tre volte con i progressisti a San Diego in California. Ha sempre perso: per la carica di sindaco nel 1992, per un seggio da deputato federale, nel 1996 e per una poltroncina nel consiglio comunale, nel 2001.

Si è presentato alla Trump Tower con un computer pieno di dati e tabelle sullo strapotere cinese. Ma anche con una serie di proposte «vitali» per gli Stati Uniti. Fin dall’inizio ha insistito sulla necessità di applicare dazi punitivi sulle merci di Pechino. Fosse stato per lui, la percentuale giusta sarebbe stata almeno del 50 per cento. Ha teorizzato la necessità di affossare i negoziati sugli accordi commerciali con i partner atlantici e quelli nel Pacifico; di stracciare il Nafta con Canada e Messico; di mettere in riga la Germania e il suo traboccante avanzo commerciale.

Nei rari briefing con i giornalisti e nelle conversazioni con qualche parlamentare si comporta come un piccolo Trump. Divide il mondo in due campi: gli Stati Uniti e «gli altri». Contano solo gli interessi nazionali Usa, che per Navarro coincidono sempre con la sicurezza del Paese. Tutto il resto, compresa la settantennale alleanza con gli europei, è avvolto da una nebbiolina di indifferenza. Trump è, come minimo, «intelligente» o «ispirato». Ogni obiezione è «una fake news», una notizia falsa. Eppure, nonostante non avesse mai steccato nel coro, The Donald era sul punto di mandarlo via nell’autunno del 2017, quando sembrava a portata di mano una vera intesa con il presidente cinese Xi Jinping, partendo dalla Corea del Nord.
Navarro si è riparato dietro Ross, amico personale di Trump. E adesso eccolo in prima fila.

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