30 settembre 2017 - 23:04

Beatrice Borromeo: «Racconto i bimbi di Caivano pensando al mio»

La giornalista e il documentario su Sky: «Il servizio di cui sono più fiera? L’intervista alla ragazzina violentata dal boss, lui dopo fu arrestato»

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Il giorno più bello della sua vita?
«È difficile dire che è quando hai sofferto come un cane. Però è così».

Quando è nato suo figlio...
«Ventitré ore di travaglio. Avevano fatto in tempo a venire tutti i miei amici da Milano e i miei familiari. La sala parto era piuttosto affollata... Medici e ostetriche sono stati bravissimi».

Parto naturale?
«Sì. Una bellissima esperienza, dopo l’epidurale...».

Suo marito ha assistito al parto?
«Non glielo dico sennò lo mettete nel titolo».

Prometto che nel titolo no. Magari in un sommario o nel catenaccio.
«Ecco, lo vede? È talmente difficile tenere delle cose per me, nella mia condizione, che alcune preferisco preservarle. E poi penso che nel raccontarle ci sia una forma di autopromozione. È sempre più faticoso fissare un limite, l’asticella è troppo alta, le persone si aspettano che tu racconti tutto».

Quindi Pierre ha assistito al parto?
«Sì».

Beatrice Borromeo cede, senza mai abbassare la guardia. Naturale che più naturale non si può, pullover sulla maglietta a righe, jeans e all star ai piedi, si racconta in un giardino pubblico di Ventimiglia dopo un piatto di tagliolini al ragù su cui ha macinato un bel po’ di sale prima ancora di assaggiarli. Stefano Ercole Carlo, il primogenito nato sette mesi fa, è a Monaco in ufficio con il papà, Pierre Casiraghi. L’occasione per incontrarla è il documentario che andrà in onda domenica prossima su Sky Atlantic HD, di cui ha condiviso la regia con Mia Benedetta. Si intitola Bambini mai e testimonia l’impegno della preside Eugenia Carfora in una scuola di Caivano. In quel Parco Verde dove Antonio Giglio e Fortuna Loffredo, dieci anni in due, sono volati giù dallo stesso palazzo. Si guarda con un groppo in gola.

Perché ha scelto proprio questa storia?
«L’idea è di Mia, che l’ha proposta a Francesco Melzi d’Eril, che l’ha proposta a me. Mi sono convinta dopo aver incontrato i ragazzini e aver visto con i miei occhi che a meno di 100 chilometri da Roma vivono bambini che non possono permettersi di esserlo. Dovevo raccontarlo».

Alcuni di loro sono riconoscibili.
«I genitori mi hanno dato l’autorizzazione. L’ho interpretato come un segno di speranza».

I loro sogni sono piccoli: uno vuole fare l’operatore ecologico come il padre, un’altra vuole sposare il figlio di uno spacciatore perché «si deve sporcare solo le mani».
«Mi sono chiesta che futuro avrebbe avuto mio figlio se fosse nato qui...».

E invece quali sogni spera che abbia?
«Mi auguro che siano suoi. Gli darò tutte le chiavi, ma sarà lui a sceglierle. Lo aiuterò a diventare chi vuole, ma sempre nel rispetto degli altri. Sia io che mio marito condividiamo l’idea che nostro figlio sia altro da noi. Anche se poi Pierre proverà a fargli fare vela e combattimento medioevale, lo so già... Ma qualunque cosa scelga, vorrei che trovasse il modo di avere un impatto positivo sul mondo».

I momenti più duri delle riprese?
«L’incontro con i bambini maltrattati. È come se a Caivano ci fossero diversi gironi danteschi e noi li abbiamo attraversati tutti: pedofilia, camorra, droga. Il giorno che ho dovuto dare un fazzoletto a un tossico con la siringa ancora nel braccio, ho fatto la doccia più lunga della mia vita: volevo lasciar andare una sensazione, un mondo».

Il documentario ha accompagnato la sua gravidanza.
«Ho finito il montaggio due giorni prima di partorire. Ho costretto la mia montatrice Cristina Flamini a vivere a Monaco per due mesi e mezzo senza mai uscire a bere un bicchiere di vino!».

E Pierre? Mai una lamentela?
«Non è il tipo. Pensa con la sua testa. È una persona sensibile e colta, in grado di capire le cose in anticipo. Legge gli altri in modo veloce. È molto sano di testa, ha i valori al posto giusto, un fortissimo senso della famiglia».

Vi siete conosciuti alla Bocconi, giusto?
«No, a Cannes. Ero lì per Annozero, per fare le riprese dopo l’uscita del Divo di Paolo Sorrentino. Pierre mi vede, si avvicina e dice: “I love you and I will marry you” (Ti amo e ti sposerò, ndr). Io risi. E lui: “You will see” (vedrai)».

L’abbiamo visto tutti. Nozze civili a Monaco il 25 luglio 2015, rito religioso alle Isole Borromee il primo agosto. È riuscita a lavorare anche al ricevimento.
Ride. «Marco Travaglio mi aveva sfidato».

Non è normale fare un’intervista alla festa delle proprie nozze.
«Ma Gratteri (Nicola, il procuratore della Repubblica di Catanzaro, ndr) era mio! Mio! Mio! E poi il Fatto ci fece il titolo di prima pagina».

Lavora sempre al Fatto Quotidiano?
«No. Ma quando ho delle cose, scrivo. Mi sono accorta a un certo punto che quello che desideravo non era a Roma. Così ho preso la decisione più difficile della mia vita e l’ho lasciato. Non avrei potuto fare la corrispondente da Monaco...».

Come l’ha presa Travaglio?
«Non era il primo dispiacere che gli davo. Già nel 2011 gli avevo chiesto l’aspettativa per il master di giornalismo alla Columbia. Nella lettera di referenze scrisse che sperava che non mi prendessero così sarei rimasta al Fatto».

Siete in buoni rapporti, però.
«Ma certo! È un fratellone!».

E Michele Santoro lo sente ancora?
«Di rado. Gli ho mandato il documentario».

Che dice?
«Non è che dica mai molto, non è uno che ti fa i complimenti. Mi aspetto sempre cose terribili da lui...».

Di quale servizio è più orgogliosa?
«Di sicuro, uno è l’intervista alla ragazzina violentata dal boss quando aveva 15 anni. Una settimana dopo l’uscita del pezzo, Genny Carra è stato arrestato».

Paura?
«È stata una delle poche cose avventate che ho fatto. C’era davvero il rischio che mentre ero lì potesse entrare qualcuno a sparare alla ragazza o ai genitori».

Ed era incinta.
«Presi la decisione in pochi secondi. Mi venne la ridarola. È stato un caso limite».

Il servizio che le ha dato più soddisfazione?
«Tutti quelli su Vittorio Emanuele di Savoia. In particolare la pubblicazione del video in cui confessava di aver sparato a Dirk Hamer».

Come lo ottenne?
«È il frutto di un lungo lavoro giornalistico, ci ho impiegato quasi un anno. L’ho avuto in maniera legale, eh...».

Racconti.
«La mamma di Dirk Hamer è una delle più grandi amiche di mia madre, conosco le sorelle, sono cresciuta sentendo la loro sofferenza. È uno di quei casi in cui il giornalismo si trasforma in un’arma di giustizia».

Visto che ha citato sua madre, Paola Marzotto, parliamo di lei: in passato avete avuto scontri molto duri. È cambiato qualcosa dopo la nascita di Stefano?
«Lei è molto legata a mio figlio e ci tiene a vederlo il più possibile. Io ormai ho accantonato tutti i risentimenti che avevo da piccola, ci ho fatto pace, ora so che le persone sono come sono. Non c’è più nessuno della mia famiglia, inclusa mia madre, che mi faccia soffrire».

Suo padre, il conte Carlo Ferdinando Borromeo, lo sente più spesso?
«Quasi tutti i giorni. Lo chiamo “Paps”. È la personificazione dell’affetto, è tenero. È quello che ti dice che ti vuole bene, che sei bravissima, che come fai tu le cose non le fa nessuno».

E a quale delle sue sorelle è più legata?
«È un periodo che le sento tutte molto. Con la povera Isabella succede sempre quando sono in auto... Lavinia l’ho vista anche adesso a New York, quando ho presentato il documentario all’Onu. Avrei voluto essere al posto suo a una delle sei cene alla Casa Bianca con Obama, ho chiesto un sacco di volte a Jaki di scambiarci, ma dice che i servizi segreti americani se ne sarebbero accorti...».

Sua nonna, Marta Marzotto.
«Ha lasciato un vuoto stranissimo, riempiva la vita degli altri. È mancata quando ero incinta di due mesi. E non è stato l’unico lutto. All’ottavo mese è toccato a Franca (Sozzani, ndr): entrambe sarebbero state con me in sala parto. Certi dolori vanno vissuti, per poterli superare. Ma in quei momenti ho realizzato per la prima volta cosa vuol dire essere madre e mettere te al secondo posto: io ho messo tutta la mia forza perché il bambino non ne risentisse».

Voterà alle prossime elezioni?
«Sì, certo. Da italiana all’estero».

Per chi?
«Non per Di Maio. I 5 Stelle li considero una bellissima idea che non è mai riuscita a essere all’altezza delle promesse. Pensare che un cittadino venuto dal nulla potesse sconquassare il vecchio sistema è stato un tale fallimento con Virginia Raggi, che al Movimento ha fatto la peggior pubblicità».

Dunque chi resta?
«Detesto il Pd; finisco sempre per votarlo...».

Ma è matta a pubblicare su Instagram le sue foto in abito da sera con gli originali indossati dalle modelle?
«Non è mio quel profilo, lo scriva! Ho solo Twitter: @borromeobea».

Da piccola guardava i cartoni animati con le principesse?
«No, guardavo Mila e Shiro: tanta fatica per vincere la partita».

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