2 marzo 2018 - 12:39

Morto Gillo Dorfles
Sono Vitriol, «Uomo, cerca te stesso»

Morto il critico d’arte Gillo Dorfles. Aveva 107 anni
Il viaggio del critico nel pensiero alchimistico. Vitriol è un acronimo che significa
«Visita l’interno della terra e, con successive purificazioni, troverai la pietra nascosta»

di GILLO DORFLES

Il critico d’arte Gillo Dorfles (1910-2017) Il critico d’arte Gillo Dorfles (1910-2017)
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Pubblichiamo un dialogo fra Gillo Dorfles, Aldo Colonnetti e Luigi Sansone sulla mostra «Vitriol. Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem, Disegni 2016», apparso su «la Lettura» dell’8 gennaio 2017. La rassegna dedicata a Gillo Dorfles, a cura di Aldo Colonetti e Luigi Sansone, è stata proposta a La Triennale di Milano dal 13 gennaio a 5 febbraio

ALDO COLONETTI — Iniziamo a dialogare, caro Gillo, intorno alla mostra Vitriol, dedicata ai tuoi ultimi disegni, realizzati tra l’estate e l’autunno 2016 , esposti per la prima volta negli spazi della Triennale di Milano. Che cosa significa per te questo ultimo lavoro dal punto di vista non solo del pensiero alchimistico, ma soprattutto sul piano della sua trascrizione pittorica, alla luce sia del primo dipinto, 2010, dedicato a questo personaggio fantastico, da te inventato, sia in relazione a questi recentissimi disegni inediti? In particolare, sono presenti in ogni disegno citazioni di Goethe, che rimandano anche alla tua attenzione nei riguardi del pensiero antroposofico di Rudolf Steiner?

GILLO DORFLES — Certamente è fondamentale questa serie di riferimenti per tutta la mia ricerca; in particolare, Goethe è stato quello che ha dato la base teorica a Steiner e alla sua visione antroposofica, alla quale è necessario ricondurre alcuni aspetti teorici del pensiero alchimistico. In sostanza sullo sfondo opera una tradizione «misteriosofica» presente nello stesso Goethe. Non che Goethe fosse già avvolto dai problemi dell’antroposofia. Goethe ha agito per conto suo, però evidentemente in lui c’è già quel, come si può dire?, atteggiamento che si affida a una serie di intuizioni, sospese tra la filosofia, la religione e il pensiero «criptico», atteggiamento che poi è stato ripreso da Steiner.

ALDO COLONETTI — Per quanto riguarda, invece, il riferimento a Jung, per te molto frequente e importante, ritorna in tutte le tue attività di studioso delle arti, ma non solo.

GILLO DORFLES — Naturalmente Jung è dei vari psicoanalisti, prima ancora che si parlasse di psicoanalisi, uno dei più illuminati, dal punto di vista teorico e intellettuale. Riferirsi a Jung voleva dire, e tuttora significa, guardare a una particolare tradizione del pensiero psicoanalitico, là dove il ruolo della cultura e della letteratura, in particolare, era più forte rispetto agli aspetti di carattere analitico. Jung era già un letterato per conto proprio, a differenza di altri psicoanalisti.

ALDO COLONETTI — Anche lo stesso concetto di libido in Jung è diverso dal concetto di libido in Freud.

GILLO DORFLES — Certamente, tra Jung e Freud ci sono delle somiglianze ma anche, sin dall’inizio, delle differenze; per Jung il principio è legato anche al tema della narrazione letteraria del problema, mentre per Freud la parte analitica e clinica è più centrale.

ALDO COLONETTI — Andando a rileggere alcuni brani di Jung, che hai spesso citato nei tuoi saggi, emerge un significato particolare del concetto di libido. Una sorta di energia primaria,dove i riferimenti di carattere sessuale sono sullo sfondo, mentre dominante è, appunto, una sorta di causa «primogenita».

GILLO DORFLES — Senz’altro, mi pare che sia giusto. Per Jung c’è questa specie di forza «primordiale», che trova nel feto una propria incarnazione che comunque non si identifica mai completamente con l’attività sessuale.

ALDO COLONETTI — Sul piano simbolico ed espressivo, tutta questa riflessione, che è anche una tensione per andare oltre «il mondo fisico», così come si presenta ai nostri sensi, la ritroviamo in tutta la tua attività pittorica, e in particolare, in forma più diretta, nell’invenzione di un personaggio, che ha comunque sembianze umane, ma non solo: Vitriol, dal dipinto del 2010 a questi ultimi lavori.

GILLO DORFLES — Credo di poter affermare che ho pensato, sin dall’inizio, a una persona d’azione, che agisce come pura invenzione, assoluta, capace di esprimere un principio creativo, al di là della sessualità.

ALDO COLONETTI — Luigi, tu, che hai curato il catalogo ragionato di Gillo Dorfles, ma non solo, per la tua vicinanza di «critico militante» dell’intero corpus delle sue opere, come vedi quest’ultima attività, soprattutto dedicata a una sorta di «storia», quasi a fumetti, di Vitriol?

LUIGI SANSONE — È un quadro molto particolare questo di Dorfles del 2010 esposto in mostra, ma soprattutto fondamentali sono questi ultimi disegni, dedicati a Vitriol, che è l’acronimo di Visita interiora terrae rectificando invenies occultum lapidem, derivante dall’esortazione «Conosci te stesso», una massima religiosa greca, iscritta nel tempio di Apollo a Delfi. La terra è il corpo umano, fisico, che bisogna esplorare per cercare la verità: questo è il significato del quadro. È una sorta di summa del pensiero di Gillo Dorfles, praticato in pittura, perché alcuni stilemi li riprende attraverso i decenni. Se noi analizziamo le opere di Gillo degli anni Trenta, ritroviamo alcuni segni che si porta con sé da sempre. C’è un’evoluzione anche nel posizionare gli occhi all’interno del quadro; gli occhi sono sempre presenti nelle sue opere, è una visione sul mondo. Da sempre paragono l’opera di Dorfles alla visione che Dante ha avuto: uomo conosci te stesso, è un viaggio nei tre regni per arrivare alla conoscenza, alla verità. Anche il viaggio di Gillo rappresenta il tentativo di ritrovare se stesso: Vitriol rappresenta il viaggio dell’uomo. Questi occhi penetranti sono alla ricerca di qualcosa, sono una finestra sul mondo, sono occhi interrogativi, occhi che stanno esplorando una verità nascosta.

ALDO COLONETTI — Potremmo affermare, allora, Gillo, rispetto alle riflessioni di Sansone, che le tue ultime ricerche in campo pittorico rappresentano non solo una tappa della tua attività di artista ma costituiscono anche un percorso dove il ruolo del linguaggio visivo è anche quello di dare forma fisica a pensieri che non sempre siamo in grado di enunciare con chiarezza attraverso le parole.

GILLO DORFLES — Sì, senz’altro. Infatti attraverso la figurazione, molto spesso si riesce ad andare al di là della propria «conoscenza cosciente», per approdare a una sorta di «figurazione dell’inconscio». Indubbiamente, molti miei disegni sono provenienti dall’inconscio, quindi al di là della mia volontà di fare una figurazione determinata, succede molto spesso che si affacciano degli elementi figurativi che ovviamente derivano da uno stato di coscienza non razionalizzato.

ALDO COLONETTI — È come se affermassimo che la tua attività pittorica, ma soprattutto questi ultimi disegni, pur possedendo una propria cifra tecnica ed espressiva, sono il risultato di una sorta di «tensione creativa» che ti conduce a queste scelte narrative, nelle quali, accanto alla tua consapevolezza, è presente un pensiero che viene da lontano.

GILLO DORFLES — La tecnica serve soprattutto a rendere visibile e diciamo tangibile quello che è il pensiero occulto o, comunque, non del tutto razionalizzato.

ALDO COLONETTI — Si potrebbe affermare allora che, alcune volte, è il caso della tua attività pittorica, il linguaggio visivo, proprio per la sua «indeterminazione», possieda una maggiore capacità di entrare in sintonia con un pensiero che non sempre siamo in grado di «concettualizzare» e rendere comunicabile agli altri?

GILLO DORFLES — Indubbiamente, soprattutto perché attraverso il linguaggio, si potrebbe dire le «parole inespresse» di Vitriol, possiamo parlare e comunicare, senza le remore dei modelli organizzativi presenti nella letteratura e anche nella pittura.

LUIGI SANSONE — Gillo Dorfles, quando disegna, è molto più libero rispetto alle altre attività, come quando si esprime con le parole e la scrittura. Sembra quasi un medium. L’ho visto disegnare alcune volte con la matita, senza staccare mai la punta dal foglio, quasi fosse ispirato da un mondo invisibile. È un mondo molto particolare quello di Dorfles, chi ci entra non se ne stacca più. Ho visto appunto le sue prime opere degli anni Trenta, quando si ispirava a Rudolf Steiner e alla sua scuola. Sono opere quasi segrete, tra il metafisico e il surreale, accanto a una tecnica pittorica molto raffinata; infatti Gillo in quel periodo usava la tempera grassa all’uovo, l’antica ricetta dei maestri del Rinascimento. Raffinato, ovviamente, non solo sul piano della tecnica pittorica, ma anche dal punto di vista della costruzione e della composizione. Le opere che Gillo realizzava negli anni Trenta in Italia, non le dipingeva quasi nessuno; sì, qualche eccezione, Arturo Nathan, che conosceva bene, oppure Savinio, ma sono pochissimi gli esempi in Italia, un Paese dove allora imperversava la cultura legata alla Sarfatti, il Novecento italiano. Gillo vedeva oltre, era molto più avanzato; ecco perché ripercorrendo tutto il suo lavoro, è possibile riscoprire le ragioni della sua autenticità di artista, perché ha sempre disegnato, ha sempre dipinto, non è mai stato un suo passatempo. Vitriol lo dimostra, perché è un quadro, è una serie di disegni, ma soprattutto è un diario di un viaggio che continua.

ALDO COLONETTI — Gillo, alla luce di queste ultime affermazioni di Luigi Sansone, vorrei riprendere un tema, sempre presente nella tua attività teorica: la relazione tra visivo e verbale, quando si affronta un argomento così complesso, ma anche ambiguo, come l’inconscio e la sua rappresentazione. Realismo e astrattismo, un vecchio dibattito; nei disegni in mostra, sono riconoscibili, in modo abbastanza evidente, alcune parti del corpo, alcune definizioni del viso, accanto ad elementi non identificabili, come se fosse presente contemporaneamente un elemento fantastico che va oltre il «reale», ma non diventa astratto.

GILLO DORFLES — Naturalmente parlare di surrealismo sarebbe troppo facile. Io non ho mai pensato di fare delle opere che ricordassero il surrealismo, però non c’è dubbio che in molte delle mie grafiche l’elemento irrazionale è quasi sempre presente.

ALDO COLONETTI — In tutte le tue riflessioni filosofiche, dove affronti l’arte ma anche le arti applicate, architettura, design, moda, è sempre presente quest’istanza interpretativa che mette sullo stesso piano «razionale e irrazionale» come se fosse un principio unico non contradditorio.

GILLO DORFLES — I due poli, diciamo, della coscienza sono sempre presenti; in poche parole, anche l’irrazionalità non è possibile se non c’è stato prima un piedistallo legato alla ragione. È come se affermassimo che l’irrazionale è un prodotto della ragione, a cui però non è possibile dare una soluzione univoca.

LUIGI SANSONE — Riguardando proprio ora, mentre Gillo parlava, il dipinto di Vitriol che abbiamo qui davanti, appoggiato su una sedia, come se fosse il quarto invitato, l’occhio mi cade al centro dell’opera che è in rosso, e il rosso è legato alla pietra filosofale, perché il rosso è il fuoco, è l’energia . Non è un caso che il rosso, in questa composizione, è proprio al centro, dove appare anche la scritta; volendo, si possono analizzare anche i colori, e il fatto che anche il viso è composto da sette lettere, rende ancora più misteriosa, e nello stesso tempo affascinante, questa particolare scrittura. Credo che sia presente in quest’opera, si potrebbe dire, tutto il suo percorso inventivo.

ALDO COLONETTI — Riprendendo questa riflessione di Sansone, vorrei farti un’ultima domanda, a proposito del fatto che tu hai sempre affidato alla ragione un ruolo centrale, sia nel tuo pensiero sia nella vita pratica, senza con questo mai negare la possibilità ad altri percorsi conoscitivi di accompagnarti nelle tue attività culturali, dal pensiero alchimista allo studio delle religioni, dalle attività dei «maghi» fino ad arrivare all’ascolto di esperienze, non sempre riconducibili ai modelli tradizionale della razionalità, soprattutto occidentale.

GILLO DORFLES — In fondo anche il mio interesse per alcune religioni parte dallo stesso punto di vista, quindi c’è qualcosa che indubbiamente non è ammissibile se uno non crede nell’esistenza oltre al corpo fisico anche di un corpo che possiamo chiamare spirituale, oppure col linguaggio tecnico «eterico», come gli studiosi di antroposofia avevano definito questa tensione oltre la dimensione fisica dell’esistenza. Ovvero, l’esistenza di un corpo eterico che è diverso da quello fisico, ma che non è ancora la pura spiritualità, è sempre accanto a noi, anche se non siamo in grado di definirlo con la ragione. Vitriol e questi ultimi disegni rappresentano un tentativo in questa direzione.

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