La profezia del Papa
e la paura nucleare

risponde Aldo Cazzullo

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Caro Aldo,
il Papa ha detto: «Temo una guerra nucleare». Non è un’affermazione terra terra e se lo dice il Papa, che per la sua funzione pastorale è chiamato a rasserenare gli animi: vuol dire che forse ha qualche elemento in mano per mettere sul chi va là. Perché non gli fanno eco i capi di Stato e di governo delle nazioni? Penso che l’unione faccia la forza nel dissuadere i Paesi scellerati che dispongono dell’atomica più in versione attacco che difesa e nel responsabilizzare chi prende sottogamba il pericolo incombente.
Alex Prato, Piacenza

Caro Alex,
Le parole di Francesco inquietano. Per i credenti, il Papa spesso vede cose che noi non vediamo, oltre le contingenze e le apparenze. Non è un indovino, però ha intuizioni che riguardano il nostro tempo e il nostro futuro. Inoltre, Francesco è il capo — avendo al fianco un uomo di livello internazionale come Pietro Parolin — della diplomazia più antica e capace al mondo; e quindi dispone di informazioni riservate e attendibili. Se lancia un allarme così preciso, significa che avverte molte criticità. La crisi nordcoreana è la più evidente. L’impreparazione, l’impulsività, l’inadeguatezza di Trump anche (per fortuna la Casa Bianca è in mano ai generali, che la guerra sanno cos’è). Ma ci sono crisi di cui non si parla mai, eppure restano un pericolo. Sulle cime del Kashmir si confrontano due potenze nucleari, l’India — Stato relativamente stabile — e il Pakistan, che stabile non è.
Ma il vero rischio non è una guerra tra Stati. È una testata nucleare «sporca», magari uscita dall’arsenale ex sovietico, il vero rischio è se finisse nelle mani di un gruppo islamista. E gli islamisti hanno già dimostrato di essere capaci di sacrificare se stessi per colpire coloro che considerano nemici. L’allarme nucleare, con i film catastrofisti e i rifugi antiatomici sotto la villetta, era più alto quando la situazione era meno frammentaria, con il mondo diviso in due blocchi. La proliferazione nucleare è una delle grandi questioni della nostra epoca; ma non la si affronta mai. Bene fa il Papa a richiamarla. Affidarsi alla scaramanzia e tentare di dimenticarla è invece attitudine poco lungimirante.

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L'ingiustizia

«Furbi al parcheggio. E gli agenti li premiano»

Io e mio marito eravamo a Ventimiglia (Im), in coda per entrare nel parcheggio a pagamento nella piazza del mercato di frutta e verdura. Davanti a noi tre auto, dietro altrettante con fila in aumento. Spesso c’è qualche maleducato che tenta di fare il furbo: proviene dal senso di marcia opposto, ma cerca di immettersi nella colonna in attesa. Questa volta si è trattato di due auto entrambe francesi (moltissimi vengono da oltrefrontiera per fare la spesa, tutti i venditori parlano francese). Ebbene, due poliziotti italiani hanno permesso alla prima macchina di inserirsi, saltando la fila. Il guidatore dell’auto davanti alla nostra, anch’egli francese, ha protestato e per tutta risposta gli agenti gli hanno detto di stare calmo. Prima che potessimo passare noi i poliziotti hanno permesso anche all’altra macchina di passarci davanti. Mio marito ha protestato e — per tutta risposta — i poliziotti, prima di allontanarsi velocemente, hanno detto che «l’auto bloccava la strada!». Invece avrebbero potuto, anzi «avrebbero dovuto» far circolare l’auto semplicemente sulla carreggiata su cui si trovava. Che esempio viene dato da chi dovrebbe far rispettare le regole? Che avranno pensato gli stranieri? Che in Italia chi fa il furbo viene pure premiato?
Pierpaola C.

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