8 gennaio 2018 - 20:37

Con le elezioni tornano
le convergenze parallele?

Secondo le previsioni dei sondaggi potremmo trovarci di nuovo prigionieri di formule vetuste, dai «due forni» agli «equilibri più avanzati»

Illustrazione di Doriano Solinas
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Ricorderà forse chi legge quando, nei floridi anni della Prima Repubblica, criticavamo formule politiche simili a inarrivabili alchimie. Espressioni senza confini nei loro significati, ora elastici, ora enigmatici. C’era la «politica dei due forni», ideata e attuata dai monopolisti democristiani per perpetuare nei decenni la centralità del loro potere (o il potere della loro centralità?). C’era, in antitesi o forse a conferma di quella politica, l’ipotesi di «compromesso storico» con chi mai in precedenza era stato uno dei due forni, il Pci. E che dire degli «equilibri più avanzati» invocati dai cugini socialisti di Francesco De Martino per un rapporto più stretto sempre con il Partito comunista? Per arrivare alle indimenticabili «convergenze parallele» di un Aldo Moro alla ricerca di punti di vicinanza ancora una volta col Pci, pur nella impossibilità di un vero e proprio contatto.

Negli anni 90, l’avvento di Mani Pulite spazzò via, in pochi mesi, tutte quelle formule e quasi tutti i partiti che di quelle formule erano stati protagonisti o anche solo comparse. Con un cambio immediato di nome e, nel corso degli anni, di pelle e sostanza, rimase in vita solo il Pci. Ma sempre più ci si stava allontanando dai concetti politici di «destra» e «sinistra» nati duecento anni prima nella Francia rivoluzionaria per approdare a uno schema bipolare di matrice più maturamente europea: conservatori e progressisti. Due contenitori all’interno dei quali si andavano ricollocando pezzi del passato politico e nuovi partiti. Un passo avanti verso una democrazia più compiuta, più occidentale forse. Anche volendo limitarsi a considerare l’efficacia teorica delle formule di governo dei due blocchi che in questi vent’anni si sono alternati alla guida del Paese, appare evidente l’insufficiente risultato operativo sul piano dello sviluppo e della modernizzazione. I chiari vantaggi del sistema bipolare — che in tutti i Paesi più avanzati del mondo consentono maggioranze nette e conseguente rapidità di decisione — in Italia sono stati sprecati da inconcludenti diatribe interne ai due stessi schieramenti; logiche spartitorie che hanno premiato (come e perfino più che nel passato) personale politico non all’altezza; mancanza di coraggio e di visione di prospettiva.

I risultati parziali — quelli definitivi li vedremo con il voto del 4 marzo — sono sotto i nostri increduli occhi: la fine traumatica del bipolarismo con la nascita «a furor di (pezzi di) popolo» del movimento antisistema Cinque Stelle e il ritorno a un sistema di voto marcatamente proporzionale. Un mix che, come una droga sintetica, potrebbe riservare all’indomani delle elezioni, effetti dirompenti sulla governabilità sia a livello di numeri sia di omogeneità programmatica. Se i sondaggi di queste settimane dovessero rivelarsi fondati, il rischio — dopo l’inutile ubriacatura bipolare — sarebbe ritrovarsi prigionieri di formule come «i due forni», gli «equilibri più avanzati», le «convergenze parallele» e pure il «compromesso storico». Come dire che in questi vent’anni e più abbiamo scherzato e, con un Paese più «arrabbiato» e deluso di prima e un mondo che ci sfida a velocità da brivido, ci ritroveremmo a farvi fronte con i rimedi ormai inadeguati dei «nonni» della Prima, vituperata, Repubblica.

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