12 marzo 2018 - 22:25

I Cinque stelle alla prova dei fatti

Per il solo reddito di cittadinanza occorre una spesa stimata in almeno
17 miliardi. Ma il presidente dell’Inps Tito Boeri teme che possa arrivare a 44

di Gian Antonio Stella

Il candidato premier dei Cinque stelle Luigi Di Maio (Ansa) Il candidato premier dei Cinque stelle Luigi Di Maio (Ansa)
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Cosa faranno i grillini a Comitini? Nel piccolo comune agrigentino finito in prima pagina sul New York Times per la più alta percentuale planetaria di dipendenti municipali (uno ogni quattordici abitanti) e additato a ragione o a torto come borgo simbolo delle difficoltà economiche aggirate col clientelismo, il M5S non ha vinto ma trionfato: 55,6%. Otto punti in più di quelli dati alla destra alle regionali di novembre. E adesso? Cosa si aspettano da Luigi Di Maio gli elettori «viziati» dal sindaco-podestà Nino Contino che fra due mesi, a dispetto dei conti disastrosi della Sicilia, porterà una trentina di compaesani in crociera nel Mediterraneo e teorizza che i dipendenti pubblici non sono mai abbastanza perché «zucchero non guasta bevanda»? Certo, se un voto plebiscitario al MoVimento come quello del 4 marzo fosse stato dato nelle tante Comitini meridionali per dire basta a decenni di zuccherini abbinati a gestioni tanto scellerate da aggravare il divario Nord-Sud (vedi appunto la Sicilia passata da un nono del Pil italiano nel ‘51 a un diciannovesimo oggi) sarebbe una buona notizia. Ma i dubbi, col passare dei giorni e le diffuse richieste di moduli per avere il «reddito di cittadinanza» crescono: è così? Un bel problema, per chi ora è chiamato a rispondere di certe promesse. Tanto più se hai fatto tutta la campagna elettorale, come nel caso di Luigi Di Maio, rivendicando una superiorità morale su tutti gli altri politici: «Noi le promesse le rispettiamo».

Certo, gli stessi elettori sono meno rigidi rispetto alle pretese di purezza estrema e fedeltà assoluta ai dogmi di qualche anno fa. Vedi la svolta sulle Olimpiadi di Torino. O qualche elasticità in più, come dimostra la lista ufficiale dei ministri in pectore, nell’accettare persone fino a ieri estranee al movimento. Un mese e mezzo fa Beppe Grillo chiudeva ancora a ogni apertura: «Alleanze con chi ci sta? Domanda senza senso. E come dire che un giorno un panda potrà mangiare carne cruda. Noi mangiamo solo cuore di bambù». Non più, se oggi dice che «la specie che sopravvive non è quella più forte, ma quella che si adatta meglio». Rivendica anzi: «Dentro siamo un po’ democristiani, un po’ di destra, un po’ di centro, un po’ di sinistra: possiamo adattarci a qualsiasi cosa».

Ma possono adattarsi gli altri, a partire dai democratici reduci dalla batosta? Cinque anni fa, a parti rovesciate, Pier Luigi Bersani e i suoi, protagonisti di una analoga «vittoria mutilata», furono liquidati nello sforzo di aprire ai grillini con un tweet del padre-padrone: «Qualora ci fosse un voto di fiducia dei gruppi parlamentari del M5S a chi ha distrutto l’Italia, serenamente, mi ritirerò dalla politica». Pochi minuti e secondo tweet: «Per quanto mi riguarda non ci sarà alcun referendum interno per chiedere l’appoggio al pdmenoelle o a un governo pseudo tecnico». Fine. Una rigidità bacchettata persino da Marco Travaglio: «Ha prevalso l’inesperienza, o la supponenza, o la paura di essere incastrati in giochi più grandi e inafferrabili». I giochi, però, sono stavolta ancora più impegnativi. Proprio a causa di quelle promesse già analizzate e marchiate da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi come figlie di una campagna (vale anche per altri, a partire da Matteo Salvini) «piena di favole». Lo stop alla Fornero con lo sganciamento dell’età pensionabile regolata sulle aspettative di vita... La no tax area portata a 10.000 euro e molto più su per chi ha famigliari a carico... L’abbattimento spettacolare del 40% in soli dieci anni del debito pubblico... Il recupero «tagliando sprechi, privilegi e spese clientelari» di ben 50 miliardi e cioè una ventina più di quelli che sperava di recuperare Carlo Cottarelli col suo piano di spending review che Di Maio, bontà sua, giudica «un’ottima base di partenza» anche se lui punta a tagliare di più, di più, di più... E tutto, si capisce, senza toccare la sanità e i servizi sociali... Anzi: «Vogliamo aumentare le pensioni e tagliare solo quelle che superano i 5 mila euro netti». Tutto garantito in una lettera a La Stampa. Il giorno, coincidenza, della Befana.

La madre di tutte le promesse, però, resta l’impegno solenne del giovane «capo» del movimento: «nessuno dovrà vivere con meno di 780 euro al mese se è single e con meno di 1.638 euro se ha una famiglia con 2 figli. Grazie al nostro reddito di cittadinanza garantiremo da subito a tutti i cittadini in difficoltà di vivere dignitosamente, mentre si formano e cercano lavoro». Per «accompagnarli», ha spiegato, «in una fase di transizione che può durare qualche anno». Spesa totale: «17 miliardi». No: 29, stimano Massimo Baldini e Francesco Daveri su lavoce.info. No, dice il presidente dell’Inps Tito Boeri: «potrebbero arrivare a 44».

Certo, sulla carta ci saranno regole, anche macchinose, perché non finisca in una regalia. Ma il rischio concreto, scrive nel libro «Falso!» Roberto Perotti, «è che tutti questi passaggi diventino adempimenti puramente formali, senza alcun impatto effettivo». E finiscano sul serio per distribuire prebende a pioggia. Vecchia maniera. Lasciando il Sud così com’è. I pentastellati sperano sul serio che i democratici, uscito di scena Matteo Renzi, possano imbarcarsi in un’impresa simile col rischio di venire poi accusati di essersi messi di traverso a una stagione luccicante di oro?

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