24 marzo 2018 - 21:22

Bipolarismo anomalo

Quello che è nato ieri è fondato su due movimenti diversi ma simili, M5S e Lega. Contiene molti pericoli, come sempre l’ignoto. Ma è sembrato voler offrire in questa vicenda anche qualche garanzia

di Antonio Polito

 Maria Elisabetta Alberti Casellati, nuova presidente del Senato (Massimo Di Vita)
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La prima presidente donna del Senato eletta dal centrodestra, che cita nel discorso inaugurale le eroine del Risorgimento e della guerra di Liberazione. Il primo presidente meridionale della Camera dopo venticinque anni eletto dai Cinquestelle, che annuncia in cravatta azzurra la difesa della «centralità del Parlamento», fino a ieri descritto come una scatoletta di tonno da aprire, l’espressione di una morente democrazia rappresentativa. La politica ha questo di bello: sa stupire. E sa ricomporre, mediando, anche le contraddizioni della realtà. Così quello che dopo il voto sembrava un puzzle senza soluzione si è trasformato nell’elezione con ampie maggioranze dei vertici delle Camere. Alleluia. Bisogna sempre applaudire lo spettacolo della democrazia parlamentare al lavoro, anche perché non conosciamo mezzo migliore per interpretare la volontà popolare. Ma subito dopo bisogna fermarsi un attimo a riflettere sulla portata storica della giornata di ieri. Nei due voti di Camera e Senato è infatti nato un nuovo bipolarismo. Quello della Prima Repubblica fu caratterizzato da Dc e Pci, ed era claudicante perché bloccato, senza possibilità di alternanza al governo.

Quello della Seconda Repubblica si modellò intorno a Berlusconi da un lato e agli antiberlusconiani dall’altro, due mondi inconciliabili e incomunicabili tra loro, perfino antropologicamente. Ciò che è nato ieri è invece un bipolarismo anomalo, fondato su due movimenti diversi ma simili, Cinquestelle e Lega Italia. Contiene molti pericoli, come sempre l’ignoto; ma è sembrato voler offrire in questa vicenda anche qualche garanzia. Salvini e Di Maio hanno infatti guidato insieme la partita fin dal primo giorno, indirizzandola verso l’esito preferito, ordendo anche trame e trappole da consumati politici; come quella in cui è caduta Forza Italia con la candidatura di Romani, o come quella che ha portato il M5S a fingere di candidare Fraccaro alla Camera, per poi ritirarlo a richiesta di Salvini. L’hanno fatto non solo per spartirsi le presidenze (la spartizione non è poi davvero un male, visto che nelle ultime sei legislature il vincitore si era preso tutto con la forza dei numeri). L’hanno fatto anche per legittimarsi reciprocamente. Salvini si è infatti mosso sempre con una stella polare: non permettere a Berlusconi di erigere una conventio ad excludendum contro i Cinquestelle, magari con l’aiuto del Pd. E Di Maio, dal canto suo, non ha permesso che nei Cinquestelle prevalesse la vecchia pregiudiziale antiberlusconiana: fino a votare la Casellati, esponente di lungo corso e provata fede del «partito degli avvocati» del Cavaliere. Se questo è l’intento, è chiaro che la reciproca legittimazione ha ora bisogno di un passo: un governo che fissi nuove regole, per esempio in materia elettorale, e che dia qualcosa in pasto alla fame di misure popolari segnalata dalle urne, magari abbattendo un po’ di vitalizi e di accise; per poi riportarci presto al voto per il primo ballottaggio della Terza Repubblica, dal quale i due nuovi poli sperano di uscire uno come maggioranza e l’altro come opposizione, pronti a scambiarsi i ruoli elezione dopo elezione, tanto di tempo avanti a sé i due leader ne hanno, giovani come sono.

Se si tratterà di un governo politico o istituzionale, d’emergenza o balneare, si vedrà dopo la Pasqua di Resurrezione, con le consultazioni al Quirinale. Ma è chiaro che questo è il progetto dei due dioscuri. Di Maio ha lanciato un’Opa ostile sul Pd, tenuto infatti del tutto ai margini della corsa per le presidenze. A Salvini invece basta un’Opa amichevole nei confronti di Forza Italia, torcendo il braccio a Berlusconi con la forza dei numeri che gli garantisce la complicità di Di Maio, per poi prenderlo sottobraccio quando serve e concedergli, per esempio, la presidenza del Senato. L’Opa ostile di Di Maio è favorita dallo stato di confusione in cui versa il Pd, che è sembrato quasi sollevato dalla sua irrilevanza in Parlamento, pur apparendo sempre pronto a saltare su un carro che l’ospitasse. È davvero difficile capire come e quando si possano verificare le condizioni della rivincita di cui parla Renzi, se quella cui stiamo assistendo non è solo un’onda che prima o poi si ritira ma uno tsunami che sta travolgendo l’intera sinistra europea. Mentre l’Opa amichevole di Salvini, e cioè la costruzione di un soggetto unico a sua guida, seppure sotto la forma di una federazione di tre partiti, è favorita dallo sbandamento dello stato maggiore berlusconiano che ha fatto di tutto per perdere la gara delle presidenze anche quando avrebbe potuta vincerla agevolmente, rinunciando subito a Romani invece di sperare in un aiutino esterno col solito trucco del voto segreto.

Per parte nostra, come cittadini, dobbiamo ora sperare in due cose. La prima è che la democrazia parlamentare continui la sua opera di trasformazione e moderazione delle pulsioni elettorali, come avvenne dopo l’altra grande svolta del 1994, riportando tutti i gruppi politici dentro i punti cardinali della Repubblica, delle sue fondamenta costituzionali, della sua collocazione internazionale e delle sue compatibilità finanziarie. La seconda è che un esecutivo nasca, perché questa è la fisiologia della democrazia dopo le elezioni, che non sono un gioco di dadi da tirare all’infinito finché non esca la combinazione giusta, ma un esercizio di volontà popolare che gli eletti hanno il dovere di tradurre quanto prima in azione legislativa e di governo.

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