Milano, 2 dicembre 2017 - 21:47

Camilleri e il dialogo con D’Alema:
«Il futuro? Da orbo lo vedo nero»

Alcuni stralci della conversazione tra Massimo D’Alema e lo scrittore Andrea Camilleri, tratti dal numero 6/2017 di «Italianieuropei», la rivista diretta da Peppino Caldarola, in edicola dal 20 dicembre

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Massimo D’Alema: «Mi ha colpito una tua dichiarazione di qualche tempo fa in cui confessi di non vederci quasi più, ma di continuare a sognare a colori. (...) In questa fase di trasformazioni molto radicali e non sempre positive nell’economia e nelle relazioni internazionali, in quest’epoca di confitti, intolleranze, razzismi, chiusure che noi venti o trenta anni fa non avremmo immaginato più possibili, tu il futuro lo vedi a colori? C’è uno spazio per la speranza?».

Andrea Camilleri: «Questo è un dilemma che mi porto dentro da un po’ di tempo a questa parte. C’è un bellissimo episodio in cui Leonardo Sciascia racconta che, verso il 1922, chiesero a un contadino completamente cieco: «Compa’, ma voi questo fascismo come lo vedete?». E lui rispose: «Cu tutto che sugnu orbo, la vio nivura». La vedo nera. Ecco, io da orbo direi, come il contadino, la vedo nera. Però nutro anche una sorta di profondissima fede nell’uomo. Credo che nei momenti peggiori venga poi il tempo in cui le qualità migliori dell’uomo riemergono. (...) Quello che però mi porto addosso in questi ultimi anni è piuttosto una specie di rimorso. Il rimorso di lasciare ai miei nipoti un’Italia con un futuro problematico. Mi sento come se la mia generazione avesse fallito nell’impegno civile. Io appartengo alla generazione che aveva venti anni quando l’Italia è stata liberata dal fascismo e sono stato educato male. Perché ai miei tempi la politica era fatta da gente come De Gasperi, Togliatti, Nenni, Sforza, Parri. Si riscopriva la politica democratica come una cosa nuova, si gioiva della possibilità di esporre liberamente le proprie idee e di confrontarsi con gli altri, che non erano nemici ma avversari. E c’era una gran voglia di rifare l’Italia. Ora, a 92 anni, sento come se mancasse un autentico slancio nel tentare di rifare l’Italia. Vorrei quindi che la mia eredità fosse presa con beneficio di inventario. Quando qualche tempo fa ho incontrato alcuni studenti di un liceo romano e abbiamo parlato di cosa è stato il fascismo, ho detto loro di non abbandonare la politica, ma di rifarla: non state ad ascoltare più noi, noi siamo già morti. Trovate parole nuove per la politica. Ridate alla politica quella “P” maiuscola che negli ultimi tempi ha perso». (...)

D’Alema: «Noi siamo cresciuti in una società in cui il mondo cattolico e la sinistra avevano fatto affermare e vincere alcuni valori di solidarietà: che non ci potevano essere quelli troppo ricchi accanto a quelli troppo poveri, che le diseguaglianze andavano ridotte, che bisognava avvicinare le persone. Il logoramento di queste grandi culture democratiche ha portato al prevalere dell’individualismo».

Camilleri: «Da questo individualismo mi sembra discenda la posizione che abbiamo oggi di fronte all’accoglienza, il rifiuto totale che nutriamo rispetto a questo grande e prevedibilissimo fenomeno che è l’immigrazione. Anche su questo noi italiani, che ci definiamo brava gente, facciamo un bel po’ di omissioni. Mi ricordo che, negli anni Sessanta, quando mi trovavo a Torino per lavorare alla Tv (...), ho visto con i miei occhi — allora che c’era la migrazione interna — i cartelli sui portoni che dicevano: “Non si affitta a meridionali”. E non è razzismo quello? Figurati se oggi si affitta agli iraniani, ai magrebini ecc. (...) Per qualcuno questi poveri disperati non dovrebbero mettere piede in Italia.(...) Se così si vincono le elezioni provo terrore, perché capisco quanto sia diffuso l’individualismo. Il “particulare” emerge su tutto». (...)

D’Alema: «È vero che nella Chiesa c’è un animo conservatore. Però guardo anche con una certa invidia alla tensione sociale della Chiesa di Bergoglio, perché nella sinistra italiana sento poche voci che hanno la stessa sensibilità. Ma poi, cosa è diventata oggi la sinistra italiana?».

Camilleri: «Mi sembra che in questo momento parlare di centrodestra e di centrosinistra sia un po’ un modo di barare al gioco. Perché il centrosinistra in realtà è centro, ed è già tanto che non sia solo destra. (...) Avevo sperato che si riuscisse in Italia a ripetere il miracolo che in Grecia fece Tsipras quando riuscì a riunire vari gruppi della sinistra. Ma la vedo difficile».

D’Alema: «Non è facile, ma penso che oggi sia l’unico tentativo che vale la pena provare a fare. Perché oggi la realtà del Pd è quella di una forza che appare prigioniera di una guida personale. È diventato il partito di una persona».

Camilleri: «Si adegua a una tendenza. Come il partito di Grillo è di Grillo e il partito di Berlusconi è di Berlusconi. Si è adeguato anche il Pd».

D’Alema: «Bisognerebbe cercare di fare emergere in Italia una possibilità diversa. È lo sforzo di queste settimane, di questi mesi: mettere in campo una possibilità diversa. Incontro molte persone che mi dicono: datemi qualcosa per cui votare, perché altrimenti rimango a casa».

Camilleri: «Per la prima volta, a 92 anni, per poter votare al referendum sono dovuto andare alla Asl, dove ho sostenuto una visita medica per avere la possibilità di farmi accompagnare in cabina da una persona di fiducia. Ho passato due visite per andare a votare. Ora, farei fatica a rifare tutta la trafila, perché non saprei onestamente per chi votare».

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