Milano, 4 dicembre 2017 - 11:45

Meloni cancella la parola An dal simbolo di Fratelli d’Italia

«Non siamo più solo il partito della destra». Ma resta la fiamma missina
Torna Crosetto: «Per essere qui ci rimetto dei soldi»

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Dal nostro inviato
TRIESTE Via dal simbolo il richiamo ad An ma la fiamma delle origini missine resta. Il congresso di Fratelli d’Italia si chiude su questo equilibrio incerto tra «futuro post-ideologico» e «radici» che tornano. Davanti a Giorgia Meloni che proclama «da oggi smettiamo di essere solo il partito della destra» c’è una platea che, in misura maggiore rispetto ai tempi di An, rivendica la propria storia, applaude forte Isabella Rauti che ricorda il padre volontario della Repubblica sociale e Ignazio La Russa che irride la legge Fiano sulla propaganda fascista; ricorda le vittime degli anni Settanta e sventola lo striscione della storica sezione missina di Colle Oppio che la sindaca Raggi ha sfrattato.

Il discorso

Meloni chiede un partito che «stia in questo tempo della politica», parli all’«Italia quotidiana delle persone», conta sul fatto che lo slogan «prima gli italiani» intercetti il senso comune. «Se lei è così popolare mentre il partito resta al 5%, qualche domanda facciamocela» si infiamma Guido Crosetto, ex sottosegretario, tra i fondatori di FdI, «io che di fascista non ho neanche un pelo», e che ora ritorna dopo aver abbandonato la politica per un lavoro d’impresa. «Per essere qui ci rimetto dei soldi ma quella nana malefica mi fa da stalker» scherza, ma poi tocca il punto, sensibile, dei due alleati più grandi che considerano poco la terza: «Lei non promette né ruspe né dentiere, la preferisco a due maschi che gonfiano il petto».

L’arrivo di Santanchè

Anche Daniela Santanchè, altro nuovo arrivo con la regia di La Russa, punta sul tema: «Mai stata femminista, ma la vera novità è un candidato premier donna. La sinistra parla tanto, ma i fatti si fanno a destra». La parlamentare ex di FI non interviene dal palco — «non voglio togliere spazio» — e precisa: «Non cambio casacca, torno nella mia casa delle origini che Fini aveva distrutto». La sua notorietà dovrebbe servire al Nord dove FdI stenta: «Con la Lega bisogna competere, sarò nella squadra». Meloni sceglie di non calcare sulle frizioni, «siamo un movimento di governo», ma agli alleati dice che «le coalizioni non si fanno per forza». A Salvini chiede un sì su «presidenzialismo e federalismo municipale»; a Berlusconi che ritorni il primato «della Costituzione italiana sulle leggi europee». A entrambi un patto affinché non ci siano accordi con il Pd — e qui l’«indiziato» è il leader di FI — né con il M5S — e qui il pensiero corre a Salvini: «A me di chiamare Grillo non viene neanche in mente» spiega Meloni, «loro sono solo un’altra faccia della sinistra». Il finale è un mix tra la rivendicazione di successi recenti, Musumeci in Sicilia su tutti, e rinnovata speranza di uscire dal recinto: «Non siamo più figli di un dio minore» conclude. Concetto che poi la presidente, riconfermata per acclamazione, sintetizza in un più spiccio: «Io non sarò la cheerleader di nessuno».

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