Milano, 6 dicembre 2017 - 21:45

Renzi, Gentiloni e Grasso lo chiamano. Ma Pisapia: troppa tensione, non reggo

Al telefono il leader pd gli dà la sua versione: ho convinto Angelino a non correre piùLa sinistra: stai con noi

(Ansa)
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«Non reggo più un livello così alto di tensione», si è sfogato Giuliano Pisapia prima di gettare la spugna. Per l’ex sindaco di Milano la partita è chiusa. Ai suoi parlamentari che lo ascoltavano sgomenti, l’avvocato ha annunciato un «passo indietro definitivo e senza ritorno». Stufo delle promesse del Pd e irritato dagli appelli fuori tempo massimo, il leader di Campo progressista ha pronunciato la frase che da settimane aleggiava sui destini del centrosinistra: «Ci abbiamo provato con tutta la nostra forza, ma non ci sono le condizioni politiche». A nulla è valsa la telefonata accorata di Piero Fassino, a nulla i tentativi di Luigi Zanda e Dario Franceschini e poi, in un crescendo di tensione con il Nazareno, la chiamata di Matteo Renzi che lo informava di aver convinto Angelino Alfano a non ricandidarsi. Ha tentato da ultimo anche Paolo Gentiloni, assicurando che il governo sta lavorando con convinzione per portare a casa lo ius soli. Ma niente da fare, tempo scaduto. «Sono stato sottoposto per mesi a uno stillicidio, non ne posso più — ha detto Pisapia nel vertice con i collaboratori più stretti, in un hotel nel centro di Roma —. Se credevano che avrei fatto da stampella al Pd, mi hanno sottovalutato. E perché tutte queste promesse non le hanno pronunciate in pubblico?».

«Ci sentiamo presi in giro»

Lo ius soli è stato, come raccontano gli uomini più vicini all’ex sindaco, «la goccia che ha fatto traboccare il vaso». La decisione di relegare in fondo alla clessidra della legislatura la legge sulla cittadinanza, bloccata dal veto degli alfaniani, ha letteralmente «atterrito» Pisapia. «Ci sentiamo presi in giro — si è infuriato con i dirigenti dem il fondatore di Cp —. Ma cosa pensate, di avere a che fare con dei cercatori di poltrone? Le nostre richieste non riguardano gli scranni, ma il profilo di una coalizione che rischia di nascere subalterna a chi ragiona come Salvini». Nelle stesse ore, sul telefono incandescente di Pisapia è arrivata una chiamata da Palazzo Madama. Questa volta non era Zanda, ma Pietro Grasso, pronto ad accoglierlo con tutti gli onori nella lista Liberi e uguali. «Inutile che ti dica, Giuliano, che le tue idee programmatiche sono più vicine alle nostre che a quelle del Pd», avrebbe sottolineato il presidente del Senato. Dietro alle parole di Grasso c’è chi accredita l’offerta di una candidatura nel maggioritario a Milano, ma Pisapia va dicendo a tutti che alle politiche non sarà in lista. Né con Grasso né con Renzi.

«Sono molto pessimista sul futuro del centrosinistra»

Chiudendo l’ultima, tormentata riunione con i collaboratori più stretti, da Ciccio Ferrara a Marco Furfaro, l’ex sindaco si è augurato che il suo addio «produca un terremoto». Un movimento tellurico virtuoso in grado di far rinsavire i vertici del Pd. Ma lo stesso Pisapia ha ammesso di essere «molto, molto pessimista sul futuro del centrosinistra». «Nel giorno del dolore», per dirla con Furfaro, il tema tra i reduci di Campo progressista è come collocarsi alle Politiche. La maggior parte dei parlamentari medita di entrare in Liberi e uguali al seguito di Laura Boldrini, Bruno Tabacci e altri guardano invece al Pd. «Calma e gesso, nulla è scontato — frena Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio —. Il passo indietro di Alfano è un fatto nuovo, ci prenderemo il tempo di una profonda riflessione». Nel pomeriggio anche la presidente della Camera ha provato a mettersi in contatto con Pisapia, ma non è riuscita a parlarci.

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