16 dicembre 2017 - 22:31

Elezioni 2018, il sondaggio: Pd in caduta, al 23,4%. Cala anche M5S

I dem al 23,4: perso un punto in otto giorni. Stabile Grasso, centrodestra al 36, calo di M5S

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A distanza di una settimana gli orientamenti di voto degli italiani fanno registrare alcuni cambiamenti apparentemente marginali ma di non poco interesse, soprattutto se analizzati nell’insieme. Il Pd conferma il momento critico in una fase piuttosto delicata sia sul fronte della definizione di una coalizione (a seguito della rinuncia di Pisapia e della decisione di Alfano di non ricandidarsi), sia sul fronte delle banche: i dem fanno registrare un’ulteriore flessione (-1%) e si attestano sul livello più basso degli ultimi 5 anni (23,4%). In compenso, nel centro sinistra aumentano le formazioni minori, potenzialmente alleate del Pd, che nell’insieme raggiungono il 2,8%. Ap dopo la «separazione consensuale» tra le due componenti, dovuta alle diverse strategie elettorali, arretra nei consensi scendendo al 2%. Liberi e uguali rimane stabile (6,6%) come pure il centrodestra sia nel complesso (36%), sia nei rapporti tra i partiti che fanno parte dell’alleanza (Forza Italia prevale di 2,4% sulla Lega). Il M5S si conferma il primo partito, sebbene in lieve flessione rispetto alla scorsa settimana, mantenendosi tuttavia in linea con i risultati di fine giugno.

Il rischio «voto utile»

I sondaggi, si sa, sono fotografie (talora sfuocate), non oracoli. Tuttavia possono influenzare le opinioni e i comportamenti di voto di molti elettori, incerti e non. Galvanizzano i sostenitori dei partiti in salute e deprimono quelli dei partiti dati per perdenti. In tal senso il pronostico degli italiani è emblematico: uno su tre (33,7%) prevede che alle prossime elezioni si affermerà il centrodestra, il 23% il M5S e solo il 12% ritiene che vincerà il centrosinistra. Ed è questo, e non tanto la flessione nelle intenzioni di voto attuali, il dato che dovrebbe preoccupare maggiormente il Pd, perché lo «sconfittismo» porta con sé tre rischi: innanzitutto l’astensione nelle proprie fila, giacché un elettore rassegnato alla sconfitta potrebbe essere tentato di disertare le urne, nella convinzione che il proprio voto non conti nulla e non possa rovesciare l’esito infausto. In secondo luogo la scarsa mobilitazione dei militanti, la cui azione è di grande utilità in campagna elettorale, soprattutto per i partiti che hanno un forte radicamento territoriale. Da ultimo, il rischio del «voto utile»: infatti, tenuto conto che tra gli elettori si fa strada la percezione che la competizione elettorale sia una sfida tra centrodestra e M5S, con il centrosinistra che sembra stare alla finestra, una parte degli elettori dem potrebbe quindi essere tentata di rinunciare al voto per il Pd, orientando la propria scelta su altri pur di scongiurare la vittoria del partito o della coalizione più invisa.

Orgoglio e fiducia

Il Pd si trova quindi ad affrontare due sfide: ridare fiducia e orgoglio ai propri sostenitori, per frenare la disaffezione e favorire la mobilitazione, e attrarre nuovi elettori attraverso proposte originali, orientate al futuro ed evocative di una visione del Paese. Al contrario, la questione banche non sembra affatto giovare al Pd, perché appare una battaglia di retroguardia che accende gli animi ma non sposta voti, radicalizzando le posizioni indipendentemente dal merito.

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