19 dicembre 2017 - 22:18

Banche, così Renzi ha cercato la tregua con Visco (all’ultimo minuto)

L’ex premier è fra coloro che con più decisione avevano indicato la Banca d’Italia fra i responsabili della crisi del credito di questi anni

(Imagoeconomica) (Imagoeconomica)
shadow

Non dev’essere stata facile la marcia di avvicinamento. Soprattutto negli ultimi giorni. Matteo Renzi aveva finalmente a tiro Ignazio Visco, l’oggetto di una lunga battaglia politica. Il governatore della Banca d’Italia doveva presentarsi alla commissione parlamentare sulle crisi bancarie, per l’inchiesta che proprio il segretario del Partito democratico aveva voluto. Sarebbe stata l’occasione di un chiarimento definitivo: l’ex premier è fra coloro che con più decisione avevano indicato la Banca d’Italia fra i responsabili della crisi del credito di questi anni: «Non ha garantito un sistema di controlli efficiente», aveva scritto. Ora Renzi stava per esporre Visco, l’uomo che appena due mesi fa lui stesso voleva mandare in pensione, alle domande dei deputati e senatori del Pd. Invece il politico più determinato della sua generazione ha avuto un sobbalzo. Ha cercato un contatto con la Banca d’Italia, negli ultimi giorni, per provare a arrivare a una tregua. Non lo ha fatto direttamente — troppo complicato — ma attraverso intermediari che aprissero un dialogo con i vertici di Via Nazionale prima che Visco si sedesse davanti alla commissione.

«Un lavoro istituzionale ineccepibile»

Renzi ha spinto, proposto, fatto capire che avrebbe apprezzato qualunque disponibilità del governatore a smussare i toni, levigare gli spigoli, magari qua e là scivolare senza soffermarsi troppo. A giudicare dalle dichiarazioni, questa offensiva diplomatica dev’essersi consumata domenica scorsa. I segni infatti il resto del mondo li nota poche ore dopo. Lunedì mattina Marco Agnoletti, portavoce di Renzi, esce con una lettera sul Fatto quotidiano nella quale si avverte un cambio di tono. Non tornano più le critiche di novembre, quando Renzi diceva che «le cose non hanno funzionato come avrebbero dovuto e potuto». Il portavoce del leader del Pd parla piuttosto di «un lavoro istituzionale ineccepibile» e «gomito a gomito coi vertici di Banca d’Italia per risolvere le varie crisi bancarie di questi anni». Quanto a Banca Etruria, un dissesto per il quale l’ex premier solo pochi giorni fa attribuiva parte delle colpe a Via Nazionale, gli accenti diversi sono percepibili: «Dopo il commissariamento (dell’istituto, ndr) non vi è stata alcuna tensione». Si direbbe quasi che Renzi abbia cercato di sminare un po’ del terreno fra sé e Visco prima che questi prendesse la parola. Anche Maria Elena Boschi fa qualcosa di simile, sempre lunedì mattina: al Messaggero, la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio riconosce di aver parlato di Etruria — mentre suo padre ne era vicepresidente — con il vicedirettore generale della Banca d’Italia Fabio Panetta.

«Pensavo scherzasse»

Se queste uscite sono tasselli dello stesso sforzo diplomatico di prevenire, sopire e sedare in vista dell’audizione di Visco, il risultato non è chiaro. Senz’altro il governatore di Banca d’Italia ieri non ha calcato i toni e ha riconosciuto che non vi sono state richieste fuori luogo da parte di Renzi e Boschi. Ma ha anche detto di non aver risposto a certe domande dell’allora premier su Etruria — lo stesso governatore le ha rivelate ieri — «perché pensavo scherzasse» e quelle di Renzi fossero uscite «divertenti»: non il modo più deferente di parlare del leader del partito di governo. Su Etruria Visco ha poi riservato anche un’altra frecciata a Renzi, rivolta più agli specialisti come lui stesso che alla platea. Lo ha fatto quando ha detto che Banca d’Italia non ha mai avvertito il governo che stava per commissariare Banca Etruria, nel febbraio 2015: così del resto prevede la legge, specie per le società quotate. Invece Renzi in un intervento sulla Stampa il 12 novembre aveva sostenuto esattamente il contrario.

«Questione di stile»

Tutte schermaglie importanti per la politica, ma in termini economici irrilevanti a confronto della grande critica che ieri Visco ha mosso al governo Renzi: non aver voluto procedere nell’estate del 2016 a una ricapitalizzazione pubblica «precauzionale» della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca — circa 70 miliardi di bilancio in due — quando ancora quelle aziende si potevano salvare. Il governatore non ha aggiunto che Renzi ha sacrificato quella scelta alla campagna per il referendum costituzionale, finita comunque per lui in disfatta. Visco ha però aggiunto che poi nel 2017 le due banche erano già troppo dissanguate e a quel punto non ci fu altro da fare che liquidarle. In aula per l’audizione Matteo Orfini, presidente del Pd, ha ascoltato senza porre una sola domanda. «Questione di stile», spiegherà più tardi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT