Milano, 13 novembre 2017 - 23:05

Mediazione di Gentiloni. Così il caso banche scompare dal dibattito

Legami più forti tra i due per un fine legislatura «ordinato». Il premier potrebbe fare come Amato nel 2001: Camere sciolte senza le sue dimissioni

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Dopo la relazione di Renzi, Gentiloni ha lasciato il Nazareno «molto soddisfatto»: per quello che il leader del Pd ha detto ma anche per quello che non ha detto. Se il tema delle banche non è stato affrontato in direzione, è perché il premier — insieme ai più autorevoli dirigenti democrat — è riuscito a convincere il segretario, che pure lo scorso fine settimana era ancora deciso a tenere l’argomento nell’ordine dei lavori della riunione. La sua scelta aveva destato allarme ai vertici delle istituzioni, convinti che servisse piuttosto abbassare la tensione su un argomento che tocca «delicati aspetti di sistema», peraltro «in corso di valutazione» nella Commissione d’inchiesta. Siccome Gentiloni conveniva sull’opportunità di non alimentare la polemica, si è fatto interprete di quelle preoccupazioni con Renzi. La sua moral suasion ha avuto successo, anche perché il leader del Pd si è reso conto che — parlando di banche — avrebbe rischiato di far saltare il clima unitario nel partito. E mediaticamente l’argomento avrebbe finito per prevalere sull’iniziativa politica, oscurando il messaggio del Nazareno. Così Renzi si è persuaso: «Parleremo dei disastri della vigilanza un’altra volta».

«Finale ordinato della legislatura»

Il premier (e non solo lui) ha tirato un sospiro di sollievo. C’era un’atmosfera distesa quando — prima della direzione — Gentiloni si è fermato a parlare con il leader dem, convenendo sull’impianto del suo discorso, con la «vocazione inclusiva» che lo ispirava, anche se è consapevole delle «difficoltà» nelle relazioni a sinistra. Per la parte che lo riguardava ha apprezzato certi incisi di Renzi — «d’intesa con il governo», «in rapporto con il governo» — che testimoniano una fase non più conflittuale. Non solo Renzi ha coperto l’operato dell’esecutivo (e del Viminale in primo luogo) sulla politica d’immigrazione, ma ha anche evitato di scaricare la patata bollente dello ius soli su palazzo Chigi. Lo aveva fatto in passato parlando della «fiducia», ora non più. Non conviene nemmeno a lui. Il barometro delle relazioni tra Palazzo Chigi e Nazareno tende oggi al sereno: Gentiloni si sente coperto da Renzi, che evoca un «finale ordinato della legislatura», e Renzi si sente coperto da Gentiloni sulla linea dell’unità nel centrosinistra. Non a caso il premier, nei colloqui riservati, parla di «alleanza larga», che è un espediente per tenere aperta l’ipotesi di un’intesa con Mdp, senza però impiccarsi alla sua realizzazione che appare (quasi) impossibile. Al momento l’obiettivo è costruire una «coalizione di governo», il resto sarà più chiaro dopo il 2 dicembre, cioè dopo l’assemblea della sinistra scissionista.

«Siamo un governo a tempo»

A quel punto si scioglierà formalmente l’ultimo nodo: la data delle elezioni. Il centro-destra è fermo all’accordo che ha portato all’approvazione del Rosatellum e che prevede le urne nella prima metà di marzo. Ma Berlusconi è informato del fatto che il centrosinistra potrebbe puntare a un breve slittamento per riorganizzarsi. E osserva la cosa con un certo interesse, dato che — se si arrivasse al voto in maggio — avrebbe il tempo per chiedere la sua «riabilitazione» in base al codice Severino: a termini di legge la scadenza è il 9 marzo. In ogni caso toccherà a Gentiloni la prima mossa, salendo al Colle per dichiarare «esaurito» il suo compito. Ma il premier non dovrà necessariamente dimettersi. A Palazzo Chigi sono stati studiati due precedenti: il governo Amato del 2001 e il governo Berlusconi del 2006. In entrambi i casi le Camere vennero sciolte in anticipo senza che i presidenti del Consiglio rassegnassero il mandato. Anche Gentiloni si muoverà così, lo ha fatto capire ai leader sindacali, offrendo un’intesa sulle pensioni: «Siamo un governo a tempo. Ma questo non significa che andremo a casa dopo la legge di Stabilità. Resteremo per gli affari correnti e potremo arricchire il compromesso che oggi vi propongo». Doveva essere un esecutivo transitorio...

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