Milano, 17 ottobre 2017 - 23:50

Visco Pd, Gentiloni tenuto all’oscuro del blitz. Ira di Padoan: dimmi che non è vero

Lo spettro dell’attacco di Andreotti a Baffi e Sarcinelli e i casi Popolare ed Etruira

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L’ hanno visto furibondo, attaccarsi al telefono e urlare con Gentiloni: «Dimmi che non è vero». Abituato ai ritmi e ai riti del Fondo monetario, nonostante gli anni passati sull’ottovolante accanto a Renzi, il ministro dell’Economia non ci voleva credere: «Non ci credo, Paolo, non ci credo».

Padoan aveva trovato il premier già impegnato ad attutire l’effetto deflagrante della mozione con cui il segretario del Pd stava tentando alla Camera di affossare Visco. Nemmeno il capo del governo ci credeva: era stato tenuto all’oscuro di tutto. E come Palazzo Chigi, erano stati colti in contropiede anche il Colle, Bankitalia, l’Eurotower e persino Berlusconi. Tutti d’altronde, nei giorni scorsi, si erano ritrovati concordi nel voler procedere alla riconferma di Visco a Palazzo Koch. Al punto che il presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche, Casini, attendeva l’ufficialità del rinnovo prima di procedere con le audizioni. Può darsi che la mossa di Renzi fosse dettata dall’obiettivo di rompere in pubblico un accordo che — come sempre accade — era stato costruito nella riservatezza. Può darsi che così volesse spezzare l’accerchiamento su un nome contro il quale si era speso. Può darsi davvero che nel governo solo il sottosegretario Boschi sapesse dell’iniziativa... Sta di fatto che, resosi conto dell’operazione, il primo atto di Gentiloni era stato chiamare Mattarella, a cui spetta peraltro la nomina del governatore su proposta del Consiglio dei ministri. Il muro alzato dal Quirinale a fronte della mozione del Pd non lasciava adito a fraintendimenti: nessuna rabberciata correzione del testo parlamentare avrebbe fatto cambiare idea al capo dello Stato. Semmai il blitz avrebbe finito per evocare — nelle febbrili conversazioni che si sarebbero succedute a stretto giro tra istituzioni nazionali e internazionali — lo spettro degli attacchi di Andreotti a Baffi e Sarcinelli. Il ricordo di quel drammatico passaggio, superato il senso di stupore collettivo, motivava una risposta immediata e altrettanto collettiva: «Bankitalia non si tocca».

Anche perché il fatto che fosse stato il partito di governo a muovere contro il governatore, esponeva sui mercati il sistema italiano, di per sé fragile. Perciò l’atteggiamento era ritenuto «irresponsabile», l’«ennesimo tentativo» di vendicarsi per l’ affaire Banca Etruria. «Ennesimo» siccome il primo era stato la nascita della Commissione d’inchiesta, voluta da Renzi malgrado il Quirinale — a più riprese — lo avesse esortato a non procedere. Il punto è che il segretario del Pd è stanco di dover pagare il conto, «di vedere scaricati su di me e sul governo che ho presieduto i problemi bancari nati molti anni prima, sul finire dello scorso decennio, quando le banche andarono fuori dai parametri senza che le autorità intervenissero». Un’accusa pesante che mira a Visco e va anche oltre. «Sta a vedere che finiremo per rompere le scatole pure a chi sta salvando l’Italia», disse in quel frangente il centrista Cicchitto, alludendo a Draghi. Nel tempo, la natura e la portata politica della Commissione d’inchiesta avevano perso l’impatto iniziale. La scelta di Casini come presidente della bicamerale era stato un chiaro segnale di appeasement .

Ieri invece la fiammata, il «colpo al santuario», come il leader del Pd definisce Bankitalia. Una posizione che a suo giudizio lo allinea al sentimento popolare e che annuncia una campagna elettorale aggressiva: «Se Gentiloni vuole riconfermare Visco faccia pure». È l’estremo tentativo di togliersi una scomoda etichetta. Perché nell’immaginario collettivo le banche sono il tallone d’Achille di Renzi, come le tv lo erano per Berlusconi. Una condizione che l’ex premier considera «ingiusta e insopportabile». Ma il blitz ha un costo, mostra il leader democrat isolato rispetto ai vertici istituzionali. E il rischio che l’ establishment internazionale — dalle cancellerie europee fino all’Eurotower — lo consideri inaffidabile, può segnare la sua corsa verso le urne. «Quando si tocca l’impianto elettrico è prudente assicurarsi di togliere prima la corrente», commentava ieri il leghista Giorgetti, che pure non lesina critiche a Visco. Il problema per Renzi non è se il governatore verrà confermato, il problema è come gli ha mosso guerra.

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